“Ora le scuse di Stato”

    0
    34

    Roberto Padrin, classe 1970, figlio di alpino, è sindaco di Longarone dal 2009. Sulle sue spalle di giovane e dinamico amministratore pubblico hanno gravato peso e onore di coordinare le manifestazioni per il 50° anniversario del Vajont, che si sono svolte dal 13 al 15 settembre scorso.

     

    Sindaco, quale è il filo conduttore della tre giorni?

    “Sono più di uno. Tra memoria e ricordo delle vittime è emerso il valore della solidarietà e della partecipazione, che il 15 settembre abbiamo esaltato con una cerimonia simbolica, ma carica di grande significato, alla presenza del ministro dell’Ambiente on. Orlando, del capo Dipartimento nazionale di Protezione Civile, prefetto Gabrielli e dei governatori di Veneto e Friuli Venezia Giulia. Cinque soccorritori di allora hanno consegnato a cinque volontari dell’attuale Protezione Civile il testimone per proseguire sulla strada tracciata cinquant’anni fa”.

    Siamo finalmente ad una svolta nel rapporto tra comunità nazionale e residenti?

    “Per taluni la ferita è tuttora aperta, è comprensibile, ne dobbiamo avere rispetto. Ora la comunità nazionale è riuscita a superare decenni di silenzi colpevoli e parole sbagliate. Gabrielli e il ministro Orlando sono venuti a chiedere scusa compiendo un grande passo in avanti nell’opera di riconciliazione. Ciò è stato apprezzato dalla maggioranza delle popolazioni del Vajont. Siamo sulla buona strada, ma, personalmente, credo non basti…”.

    Che cosa si sente di chiedere ancora allo Stato italiano?

    “Un sigillo di massima autorevolezza. Spero che il 9 ottobre il presidente Giorgio Napolitano venga a ripeterci tali parole, allora sì che potremmo parlare di scuse di Stato. L’annunciata presenza del presidente del Consiglio, Enrico Letta, sarebbe ulteriore conferma che le istituzioni hanno “capito” finalmente che cosa accadde qui il 9 ottobre 1963 e così la Nazione”.

    “Capire” per scrivere una pagina di verità dopo tante omissioni?

    “Esatto. Sono consapevole che le parole del Capo dello Stato non servirebbero a cambiare il corso degli eventi o a lenire il dolore dei familiari delle vittime, ma sarebbero un gesto umile di straordinario significato che aprirebbe alla distensione. Così il 50° favorirebbe la consegna alla storia della catastrofe del Vajont nella sua complessa, talvolta ambigua, verità. Sempre nella vita riconoscere le proprie colpe aiuta a riprendere il cammino comune. Spesso con un fardello meno pesante”.

    Lei ha più volte sottolineato la riconoscenza verso i soccorritori…

    “Non mi stancherò mai di farlo. È stata troppo intensa l’emozione provata nell’incontrarli a Longarone. Colgo l’occasione per ringraziare i militari dell’allora 4° Corpo d’Armata Alpino, in primis quelli della brigata “Cadore”, tra i primi ad accorrere. Ragazzi di leva, con i loro ufficiali e sottufficiali, per 38 lunghi giorni diedero più di quanto umanamente si potesse chiedere. Lo fecero con uno slancio generoso che a Longarone non verrà mai dimenticato”.

    Una riconoscenza certificata da un attestato o c’è di più?

    “Molto di più, è quasi impossibile definirlo. Direi un’emozione coinvolgente e osmotica. A tutti i soccorritori, oltre un migliaio (parecchi gli alpini, ndr), abbiamo infatti consegnato un attestato che rappresenta simbolicamente la gratitudine della nostra comunità per quanto fecero allora. Ma c’è qualcosa che va oltre i documenti. Infatti in queste giornate è stato commovente constatare nei soccorritori un grande amore per Longarone e tanto affetto per superstiti e sopravvissuti. Sentimenti mai sopiti lungo tutto questo mezzo secolo. A questi “Angeli del Vajont” non riusciremo mai a dire abbastanza: grazie!”.

    Lei ha anche invitato a guardare avanti sulla scorta della lezione del Vajont.

    “Non potevo non farlo. Quel disastro fu affrontato, se così si può dire, a mani nude, impreparati, sgomenti. Nel 1966 l’alluvione ripropose il tema, ma ci volle il terremoto del Friuli perché nel lessico familiare degli italiani comparisse la locuzione Protezione Civile. Dal 1976, senza nulla togliere ai diversi Corpi dello Stato ed agli altri volontari, l’esempio degli alpini e la determinazione di Giuseppe Zamberletti crearono le basi per la moderna Protezione Civile, ben presente negli eventi del 50°”.

    Da allora ne sono stati fatti di passi in avanti. Visti da Longarone, ovviamente…

    “Davvero molti. Siamo passati dall’emergenza alla prevenzione, almeno sul piano della formazione e dell’aggiornamento continuo della nostra Protezione Civile e dello stesso volontariato come, ad esempio, gli stessi alpini. Oggi non possiamo e non dobbiamo farci trovare impreparati di fronte ad una qualsivoglia calamità, non sarebbe giustificabile”.

    Concludendo, da dove partire per un’efficace cultura della prevenzione?

    “Dalla scuola e dall’educazione civica. Bisogna formare cittadini coscienti di essere “Nazione”, persone consapevoli e volontari addestrati. Ne guadagneranno il sistema di Protezione Civile e la qualità della vita degli italiani. Allora sì, di fronte alla diga del Vajont, potremo sperare di dire: MAI PIU’!”. (d.b.)