La montagna nel cuore

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    Fedeltà. La vita in montagna di Osvaldo Carmellino si potrebbe raccontare con una parola, anche se non ne sarebbero sufficienti mille per descrivere la semplicità nei gesti, nei sorrisi, nei sapori. È quella genuinità che si gode sulle vette più alte, tra le cento sfumature di verde dell’Alpe Larecchio, al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta, dove Osvaldo e la famiglia vivono e lavorano. Una splendida conca – forse la più bella della Valsesia – solcata dal rio Plaida che serpeggia placido tra ubertosi pascoli cinti, come in un abbraccio, da alti larici.

     

    Sono questi i luoghi che hanno cullato Osvaldo fin da quando era in fasce. I suoi primi passi in salita li ha fatti a soli due mesi, sulle spalle di mamma Emilia Gens che nell’estate del 1955 decise di andare a vivere ancora più in alto, per gestire l’Ospizio Sottile, mentre il papà Marino era ai pascoli in valle a curare gli animali. “Erano altri tempi – ricorda Osvaldo – non c’era turismo. Si seguivano i ritmi scanditi dal sole e quando veniva sera mia madre, prima di coricarsi, faceva il giro del rifugio con la candela accesa, per vedere se non ci fossero forestieri, per sicurezza…”. La montagna era il campo giochi di Osvaldo e del fratello Ugo che crescendo hanno ben presto imparato a condividere le gioie e le fatiche di quella vita. Negli anni Sessanta, alla morte della nonna, la famiglia ritornò al Larecchio; erano in affitto e per guadagnare qualcosa con cui vivere curavano anche gli animali di alcuni affidatari. “Ora è tutto della mia famiglia…”, si guarda attorno Osvaldo con orgoglio.

    Nel 1991 dopo essersi sposato con Flavia acquistò i terreni del Larecchio e iniziò la delicata opera di ristrutturazione delle baite settecentesche: “All’inizio – rivela Osvaldo – ho avuto bisogno di mani esperte perché sistemarle sembra facile, ma non è così. Durante i mesi invernali, in cui c’era meno da fare all’alpe, andavo a lavorare come muratore e ho imparato il mestiere. In montagna devi saper fare tutto quello che ti serve per vivere, altrimenti diventa veramente dura”. E il lavoro che aveva imparato è stato indispensabile anche l’unica volta che ha lasciato le sue montagne, quando è andato a naja nel “Susa”, a Pinerolo e a Ulzio: era stato ordinato come conducente di muli, ma essendo uno dei pochi veramente abili nei lavori manuali, lo preferirono come maniscalco. Sorride e ricorda il servizio militare quasi come una vacanza pagata, perché a casa ad attenderlo c’era il duro lavoro e le fatiche di una vita austera.

    “Oggi non si riesce più a campare tenendo solo gli animali e vendendo i prodotti dell’alpe”, ripete con un accenno di amarezza nella voce. Da qualche anno è diventato guardiacaccia dell’Azienda faunistica “Riva Valdobbia” e anche grazie all’entusiasmo e all’aiuto delle figlie Samanta e Veronica – e dei loro fidanzati che danno una mano durante i fine settimana – ha deciso di diversificare l’offerta, aprendo un agriturismo con una ventina di posti letto che nei mesi estivi è al Larecchio, mentre d’inverno è a qualche centinaio di metri più a valle, nella bella borgata alpestre Peccia, dove da poco più di un anno l’antico sentiero è stato sostituito da una carrozzabile sterrata.

    Ad un amante dei bei paesaggi la mano dell’uomo che viola il territorio montano potrà sembrare uno scempio, “ma una strada facilita tanto la vita quassù!”, rammenta Osvaldo. Anche perché gli enti locali talvolta non aiutano: “Una parte dei rimborsi per il materiale dei tetti delle baite sono arrivati dalla Regione, ma alla domanda inoltrata alla Comunità montana è stato risposto che la mia è una realtà troppo piccola per poter ottenere dei fondi”. Sarà piccola ma è vitale! È quello che hanno potuto apprezzare gli oltre duecento alpini, saliti al Larecchio per festeggiare il “Premio fedeltà alla montagna” e assaggiare i prodotti dell’azienda: la polenta cucinata in grandi paioli, la squisita toma, i salami e le carni prodotte da animali allevati come una volta.

    Tra le baite costruite in tipico stile Walser scorrazzano oche, galline e conigli, trotterellano asini e cavalli, per nulla intimoriti dai viandanti, in una giornata di festa che così all’alpe non si era mai vista. Di allegria è stata contagiata anche la valle. Gli alpini del gruppo di Riva Valdobbia – del quale è socio Osvaldo – guidati da Luciano Carmellino, e di Alagna con il capogruppo Gabriele Castagnola hanno collaborato nell’organizzazione della manifestazione che sabato pomeriggio ha vivacizzato Alagna con le musiche della fanfara Montenero della sezione di Torino e della Banda Valsesiana, il cui vessillo è stato inaugurato alla presenza dei sindaci dei due comuni Massimo Gabbio e Sandro Bergamo.

    Domenica la festa ha coinvolto il borgo di Riva Valdobbia ed è stata un’apoteosi della montagna a partire dalla sfilata, aperta dagli uomini e dalle donne, vestite in costume Walser con l’ampio grembiule ricamato e ornato da nastri colorati. Il Labaro dell’ANA era scortato dal vice presidente vicario Adriano Crugnola – assente il presidente Sebastiano Favero, impegnato in Canada al congresso delle Sezioni del Nordamerica – e da numerosi consiglieri nazionali, il vessillo della sezione Valsesiana dal presidente Gianpiero Rotti. Alla festa della montagna la Messa non poteva non essere celebrata da un montanaro d’eccezione, don Carlo Elgo, ottant’anni, di cui 33 da parroco di Alagna, sciatore provetto e alpinista che ha all’attivo numerose scalate e il record di salite alla Capanna Margherita.

    Dal sagrato della chiesa quattrocentesca di San Maurizio, splendidamente affrescata, ha dedicato la funzione a San Bernardo, patrono degli alpinisti e degli scalatori. Poi, rivolgendosi commosso alle tante penne nere che gremivano la piazza, ha rivelato: “Uno dei grandi rammarichi che ho è non essere alpino, ma gli alpini, credetemi, li ho nel cuore”. A queste parole il cerimoniere si è avvicinato calandogli un cappello alpino in testa e il novello cappellano ha abbracciato Osvaldo e la sua famiglia. Il consigliere nazionale Luigi Sala ha letto la motivazione del “Premio fedeltà alla montagna” che è stato consegnato a Osvaldo Carmellino e alla famiglia dal vice presidente vicario Crugnola. “Questo premio è il più importante per la nostra Associazione – ha sottolineato – perché è la sintesi di parole che amiamo: ‘alpini’ e ‘montagna’. Ma la parola su cui mi vorrei soffermare maggiormente è ‘fedeltà’, un termine semplice ma di difficile applicazione al giorno d’oggi, perché si traduce in un impegno disinteressato per la comunità. Per noi alpini fedeltà significa amore per la Patria, per la società e verso coloro che ci hanno preceduti”.

    Crugnola ha ringraziato i componenti della commissione che in quest’ultimo anno hanno visitato gli alpeggi dei candidati al premio e ha ricordato tre promotori: Lino Chies, Aldo Innocente e il pastpresident dell’ANA Corrado Perona, particolarmente applaudito e festeggiato. Con loro sul palco sono saliti i premiati degli anni precedenti e il capogruppo di Paularo Ennio Blanzan ha consegnato la scultura di bronzo, simbolo del premio, al capogruppo di Riva Valdobbia Luciano Carmellino.

    “Sono felice! Non mi aspettavo di coinvolgere così tanta gente – ha ripetuto Osvaldo al microfono. Ringrazio tutti, mio fratello Ugo che in questi anni mi ha aiutato e le mie donne. Voglio ricordare anche i miei genitori che hanno sempre vissuto tra i monti… oggi sarebbero orgogliosi di me”. Parole con la montagna nel cuore.

    Matteo Martin


    LA MOTIVAZIONE

    “Il socio Osvaldo Carmellino del gruppo di Riva Valdobbia, con la stessa passione di chi nel passato ha costruito le strutture agricole all’Alpe Larecchio, con un notevole sforzo economico le ha rese efficienti ed idonee ad unire l’attività pastorizia a quella ricettiva creando un punto di accoglienza in una zona raggiungibile solo a piedi. Assicurando con il coinvolgimento dei famigliari il futuro dell’attività è un vero esempio di come si possa custodire, curare e valorizzare la montagna con un turismo intelligente e rispettoso”. A Osvaldo Carmellino è stata consegnata una targa ricordo, una pergamena e l’assegno di 10mila euro.

    Agriturismo “Alpe Larecchio” (1.895 metri), loc. Val Vogna, 13020 Riva Valdobbia (VC), tel. 340-9786484.