L'Ortigara racconta, e dice…

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    Ogni tanto, all’Ortigara bisogna tornarci. Non perché si potrebbe dimenticare cosa significa questa montagna, simbolo del sacrificio degli alpini, ma perché ogni volta si aggiunge una tessera al mosaico della conoscenza d’una storia che è davanti ai nostri occhi, che parla di uomini e di orrori indicibili e che continua a stupire e riempirci di pietà e compassione. È la montagna stessa a raccontare con terribile semplicità sacrifici immani di migliaia e ancora migliaia di uomini che dovevano conquistarla ed altrettanti che dovevano impedirglielo.

    Uomini che si preparavano a morire salendo per quei sentieri fra i boschi di mugo che oggi l’escursionista percorre sereno, spesso con moglie e figli. Le montagne oggi hanno un nome: Campanaro, Zebio, Colombara, Mosciagh, Caldiera … ma allora erano soltanto quote con freddi numeri di morte: 2003, 2101, 2105… e significavano un punto sulla cartina dei comandi e tanti battaglioni votati al sacrificio per conquistare una posizione che si riteneva strategica all’andamento della guerra.

    Oggi tutto è livellato dal tempo: errori ed orrori. Resta intatto solo lo sgomento di come sia stato possibile tutto questo, la visione netta di quanto senso del dovere ha spinto tanti soldati alpini, fanti, artiglieri, bersaglieri a sacrificarsi a tal punto, così tanto e così tanti. Riecheggiano ancora le parole del cappellano Bevilacqua (sottotenente del battaglione Monte Berico e, in seguito, cardinale) all’omelia della storica Messa celebrata nel settembre 1920 su quella montagna che portava ancora evidentissimi i segni della battaglia durata dal 10 al 25 giugno del ’17: Qui non è pietra non sacrata dal crisma del sangue… Monte della nostra trasfigurazione!

    Non può essere, dunque, che un pellegrinaggio, quello degli alpini che ogni anno raggiungono la cima di questa montagna considerata sacra, perchè è stata il loro Golgota. E ben l’ha spiegato ancora una volta don Rino Massella, cappellano della sezione di Verona, alla Messa celebrata accanto alla Colonna Mozza. Il pellegrino è uno che si mette in viaggio verso una meta, non tanto per incontrare qualcosa ma per incontrare qualcuno, che è il Signore ma anche i nostri cari che sono più che mai vivi, come i nostri fratelli che qui vogliamo onorare con questo pellegrinaggio: essi sono con noi, sono vivi: saranno morti quando saranno dimenticati .

    La stessa parabola del buon pastore ha continuato don Rino riferendosi alla lettura del Vangelo è quanto mai consona agli alpini, perché parla del prossimo e della solidarietà che fanno parte del nostro Dna. Gli stessi nostri fratelli che ricordiamo qui ci dicono di essere prossimi’ gli uni agli altri, vicini a chi soffre, di non dimenticare nessuno. Amando il nostro prossimo amiamo Dio, e non conosceremo odio e tanto meno guerra . Alla Messa, celebrata alle otto del mattino, c’erano accanto al Labaro il presidente Corrado Perona con il gen. Gianfranco Rossi, vice comandante delle Truppe alpine, consiglieri nazionali e qualche centinaio di alpini.

    Facevano corona una dozzina di vessilli e tanti gagliardetti. La parte ufficiale non prevedeva discorsi ma solo la deposizione di corone: una alla Colonna Mozza e una al cippo che, poco distante, lungo la direttrice di un’unica trincea, onora i Caduti austro ungarici. Con gli alpini, a deporre questa corona, c’erano com’è ormai tradizione i rappresentanti dell’associazione dei Kaisersch tzen del Tirolo con l’Obmann Helmut Berchtold. Poi la discesa al Lozze dove l’ampia conca della chiesetta e del rifugio Cecchin era ormai gremita di alpini e escursionisti.

    Al colle della Madonnina c’è stata una breve ma significativa cerimonia per l’inaugurazione del recupero dei manufatti della Grande Guerra. Al momento del tradizionale taglio del nastro, il presidente Perona ha passato la forbice a un imbarazzato e commosso Roberto Genero, già presidente della sezione di Marostica, promotore e animatore per quattro estati, con gli alpini provenienti anche da altre sezioni, dei lavori di recupero degli appostamenti, camminamenti e delle trincee dal Lozze al monte Campanaro, mentre analogo recupero veniva fatto dagli alpini di Valdagno sul Monte Civillina e da quelli di Vicenza a Tonezza del Cimone. (C’è un simpatico quanto, significativo particolare a proposito dei lavori al Lozze. Il presidente Perona aveva fatto visita al cantiere durante i lavori di disboscamento dai mughi ed aveva trovato una sorpresa: un quadrilatero cintato con la scritta Riservato al presidente nazionale . Senza fare una piega, il presidente ha lavorato per l’intera giornata, portando a termine l’incarico così alpinamente assegnatogli. A sera, sotto il tendone, è stato debitamente festeggiato).

    Al Lozze, prima della Messa celebrata da don Rino, Perona ha iniziato il suo intervento citando la fotografia della bandiera di guerra del 6º Alpini con tutti i suoi alpini alla Colonna Mozza apparsa sulla copertina del numero di luglio de L’Alpino. E rivolgendosi al generale Rossi: Caro generale, è una fotografia che ci fa riflettere positivamente, perché la presenza di questi uomini e di quella bandiera sta a significare la continuità di una tradizione che non deve spegnersi. Mi hanno detto che questi vostri, e nostri ragazzi si sono commossi e hanno voluto interessarsi sulle vicende belliche che coinvolsero, tanti e tanti anni fa, l’Ortigara.

    È una prova di grande umanità che dà vitalità non solo alle Truppe alpine ma anche alla nostra associazione. Ha quindi salutato i rappresentanti delle forze dell’ordine e i rappresentanti delle associazioni dei Kaisersch tzen austriaci e dei Landesch tzen tirolesi che tradizionalmente partecipano al pellegrinaggio, nonché il presidente della Croce Nera austriaca dr. Heinrich Schöll, accompagnato dal console d’Austria a Milano Alfred Handler. Perona ha evidenziato il legame che unisce la nostra e le loro associazioni nel comune impegno ad onorare senza distinzione tutti i Caduti perché sono per entrambi ricchezza di ideali, di sacrificio ed esempio del dovere.

    Eravamo avversari novant’anni fa, ma onoriamo insieme i nostri morti e i sacrifici di due nazioni che avevano perso la testa . Si è infine rivolto agli alpini e a quanti hanno lavorato in questi anni per riportare alla luce le testimonianze della Grande Guerra, un lavoro durato oltre quattro anni, come riportiamo in queste stesse pagine. Miei carissimi alpini ha proseguito sento sempre la necessità di rivolgermi a voi. Vorrei parlare ai presidenti e agli alpini delle tre sezioni organizzatrici, Asiago, Marostica e Verona, e a tutti coloro che si dedicano da anni all’organizzazione di questo pellegrinaggio.

    Un caloroso abbraccio a tutti gli alpini e a quanti sono saliti quassù e hanno sentito la responsabilità di questo luogo sacro perché quella medaglia d’Oro Cecchin dice loro: bisogna andare avanti. E loro non si sono fermati, hanno dato inizio a lavori stupendi anche grazie alle comunità che hanno riversato sostanze economiche e risorse umane per andare a riscoprire i resti di una storia che resta incancellabile. Ho visto anche giovani, studenti e studentesse, che sono venuti quassù per dare luce e vita a quelle trincee che hanno visto sofferenze, sacrificio e senso del dovere .

    A proposito dei giovani che ci sono stati e ci sono vicini Perona si è tolto un sassolino dalla scarpa. Non l’ha detto esplicitamente, ma tutti hanno capito che si riferiva ai giovani della mininaja. A volte anche noi ci perdiamo in futili polemiche, mettiamo i puntini sulle i . Sono d’accordo che la precisione è una gran cosa, ma non la polemica a tutti i costi, perché se facciamo polemiche, se facciamo dei distinguo, che associazione alpini siamo? Dobbiamo essere alpini e tramandare la storia ai giovani perchè è scritto lassù che non dobbiamo dimenticare. Certo, ci sono i libri e i trattati di storia, ma i libri scadono mentre lo spirito non muore mai. Viva l’Italia, viva l’Ortigara, viva gli alpini.

    Presentato dal presidente della sezione di Marostica Fabio Volpato, che ha fatto il conduttore nella due giorni, il generale Gianfranco Rossi, vice comandante delle truppe alpine, dopo aver portato il saluto del generale Alberto Primicerj ha ringraziato Perona per la lezione civica e morale . Ha ricordato quando, bambino, veniva portato dai genitori nei fine settimana sull’Ortigara o sul Grappa. Con gesti semplici mi hanno tramandato quello che è il significato della nostra presenza qui: la memoria di quelli che ci hanno preceduto, il ricordo dei padri dei nostri padri. Tutti, indistintamente e ad uno a uno, perché ciascuno ha avuto, magari inconsapevolmente, un suo ruolo importante. E mi impegno a seguire quell’esempio, come militare in servizio e come membro della grande famiglia degli alpini dalla quale raccolgo il testimone morale che qui, col presidente nazionale Perona, ci è stato con forza evidenziato.

    Grazie, Associazione alpini, perché della memoria siete i custodi e la nostra benzina morale . Poi don Rino ha celebrato la Messa ed all’omelia ha affermato che l’egoismo porta alla solitudine, all’imbarbarimento della società , ed ha invitato di nuovo gli alpini ad essere buoni samaritani. Sono ancora pochi quelli che sanno fare quello che fate voi. La nostra società ha tanto bisogno di compassione, di essere amata e rifondata su ideali e valori autentici. Chiediamo ai nostri Caduti di aiutarci in questo lavoro per vivere con un autentico spirito di concordia e di solidarietà.

    La Messa si è conclusa con la Preghiera dell’Alpino, sulle note del coro La Preara della sezione di Verona. Una volta tanto, l’Ortigara ha concesso una giornata senza nuvole.

    Giangaspare Basile

    Pubblicato sul numero di settembre 2010 de L’Alpino.