L’angoscia che resta

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    Longarone ha voluto riabbracciare gli “Angeli del Vajont” dopo cinquant’anni. Lo ha fatto il 15 settembre al termine di una tre giorni di celebrazioni al centro delle quali un convegno sulla pericolosità idraulica a valle delle dighe e l’esercitazione “Nord Est 2013” hanno messo sotto i riflettori realtà e problemi della Protezione Civile italiana. Dalla mostra “Terremoti d’Italia” al XIV Meeting del volontariato veneto, passando tra concerti corali, bandistici e d’autore – quest’ultimo sulla diga – è stato un fine settimana all’insegna del trinomio prevenzione-soccorso-memoria.

     

    A conclusione, la sfilata per le vie di Longarone e la solenne cerimonia in un gremitissimo Palasport alla presenza di autorità nazionali e di delegazioni da tutta Italia. Longarone ha voluto dire il suo grazie ai soccorritori chiamandoli a raccolta, incontrandoli, abbracciandoli e stringendo loro la mano in una comprensibile babele di dialetti, occhi lucidi e tanti, tanti ricordi. Non è sfuggito ai più un gesto simbolico di grande significato morale: l’attestato nominativo di riconoscenza ai soccorritori è stato loro consegnato dalle mani del sindaco Roberto Padrin e dei suoi colleghi del territorio del Vajont, i sindaci dei comuni di Castellavazzo, Erto e Casso e Vajont. Sindaci in fascia tricolore, firme di proprio pugno sull’attestato, due parole scambiate in fretta con un sorriso riconoscente: i soccorritori si sono sentiti così gratificati mentre portano ancora nel cuore l’angoscia e la fatica di quei lontani giorni quando, poco più che adolescenti, scavarono per settimane intere per poi ricomporre pietosamente le salme profanate dall’acqua e dal fango.

    In prima linea, gli alpini. Ricorda il generale Angelo Baraldo, allora giovane capitano del Gruppo “Lanzo”: “Come poter rimuovere il ricordo del bimbo con il cordone ombelicale ancora attaccato, o di quella mamma inutilmente schiacciata dal fango e dalla ghiaia fra due culle che aveva cercato invano di proteggere, o dei mutili resti di persone raccolti qua e là? Il colpevole uomo che aveva provocato quasi duemila morti sarà perdonabile?”. Molte sono le domande senza risposta. Sottolinea Renato Bogo, allora sergente di leva del battaglione “Belluno”: “Io vivo ancora quel dolore senza risposta che provai nel vedere il terrore negli occhi di quel bambino che, tremando, raccolsi nella zona dei gradoni di Longarone, sfigurato e gonfio, ancora avvolto dal calore della mamma vicina, di un abbraccio dato da poco. Per me, giovane poco più che ventenne, fu l’incontro col dolore, quello vero e tragico, talmente grande da segnare per sempre il mio cuore.

    Nell’immensità di quella devastazione infinita mi sono sentito testimone di una guerra silenziosa, combattuta senza armi e senza possibilità di vittoria contro noi stessi e la nostra presunzione di poter dominare la natura”. La brigata alpina “Cadore” intervenne tempestivamente, anche di propria iniziativa, con una presenza media di 2.014 unità delle varie specialità. La presenza massima si ebbe il primo giorno, con 2.742 unità. In totale si alternarono, in turni, ben 3.488 militari della “Cadore”, oltre ad elementi di altri Corpi e Armi.

    L’impegno complessivo delle Truppe alpine è stato di 491.000 ore lavorative, durante le quali, oltre a tutto il resto, furono rimossi all’incirca 200.000 metri cubi di materiali, con l’impiego anche di 150 automezzi al giorno. Dal fango furono recuperate 976 vittime innocenti. A tutti gli “Angeli del Vajont” il sindaco di Longarone, alla fine del suo intervento, ha espresso un commosso ringraziamento “per non averci lasciati soli, per esservi fatti carico di quella parte di tristezza che potevamo condividere intimamente soltanto con voi. Per averci dato la forza, senza la quale non avremmo mai potuto rinascere”.

    Dino Bridda