Alla statua del Redentore

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    Il Mombarone, confrontato alle tante maestose montagne valdostane, potrebbe essere giudicato una vetta di secondaria importanza, perché alto soltanto 2.372 metri. Quando, alla fine dell’Ottocento, fu prescelto dal Comitato Romano, per rappresentare il Piemonte settentrionale, assieme ad altre diciannove vette in altrettante regioni italiane, rispondeva a caratteristiche considerate essenziali per l’epoca in cui si viveva e per la finalità dell’iniziativa.

     

    “Consacrare le alte cime dei monti come luoghi ideali per collocare un imperituro ricordo dell’omaggio al Redentore, attestante la dedicazione del XX secolo a Gesù Redentore”: così veniva presentata l’iniziativa, nella circolare dell’8 luglio 1899, spedita dal Comitato Romano presieduto da Filippo Tolli, ai corrispondenti diocesani. I comitati locali, creatisi spontaneamente nelle città più prossime alle montagne prescelte, avrebbero dovuto “provvedere alla scelta della vetta più visibile ed insieme di possibile accesso”.

    Questo spiega la scelta di una montagna, il Mombarone, che si colloca in posizione di facile accesso dalla pianura piemontese, a cui appartengono le attuali province di Torino e di Biella, ma anche dalla regione valdostana, in particolare dalla valle del Lys che, a Gressoney, culmina nel massiccio del Monte Rosa. Era necessario pensare ad un evento periodico di forte risonanza, per sensibilizzare le popolazioni locali sul degrado e l’abbandono in cui era caduto il monumento al Redentore, inaugurato il 23 settembre del 1900, dopo il furto del parafulmine di rame che, nel 1945, pareva averlo condannato ad una progressiva quanto irrimediabile rovina. L’azione di denuncia non era fine a se stessa, nel cuore di qualcuno c’era il desiderio di farsi promotore del restauro e del recupero del manufatto.

    Dopo anni di raduni in vetta per raccogliere le adesioni e il sostegno, non solo morale, alla scommessa contro lo scetticismo e l’inerzia, i tempi si rivelarono maturi con l’adesione entusiastica all’iniziativa, non solo degli alpini, ma anche con quella fondamentale del Comune di Graglia, sul cui territorio il monumento sorge. Da quel momento in poi tutto sembrò accadere come una conseguenza logica e naturale: dalla scelta del progettista (il geometra alpino Franco Thumiger) a quella dell’impresario (l’alpino Guido Rocchi). L’inaugurazione siglò la conclusione di un intervento di restauro che andava ben di là dal recupero materiale. Si ridavano, infatti, la dignità e il decoro voluti dagli entusiasti sottoscrittori di fine ’800, non solo al monumento, ma a ciò che la montagna rappresenta per chi ancora ci vive e ci lavora.

    Dal 12 luglio 1992, con la dedica alla Madonna delle Nevi della Cappella sottostante il monumento, l’opera di ricostruzione si poteva dire completata, ma dal 1986 i raduni biennali si sono ripetuti costanti, con la partecipazione entusiastica di un gran numero di alpini. Molti, tra quelli che vent’anni fa avevano partecipato all’impresa, sono stati rilevati dai figli o dai nipoti, altri che allora erano “giovani e belli” e oggi lo sono un po’ meno, ma quando salgono lassù, sotto lo sguardo pacato e protettivo del Redentore, dimenticano gli anni e gli acciacchi, ritornano quelli che, tra mille incertezze e difficoltà finanziarie e burocratiche, osarono là dove innumerevoli comitati, nei quarant’anni precedenti, avevano fallito per mancanza di fede e di speranza.

    Sulla vetta del Mombarone, in occasione del XIV raduno intersezionale, a festeggiare il ventennale dell’inaugurazione della cappella, il 19 agosto, si sono ritrovati il presidente nazionale Corrado Perona (allora presidente della sezione di Biella), l’ex vice presidente nazionale vicario Sebastiano Favero, il consigliere nazionale biellese Renato Zorio, il revisore dei conti Luigi Sala (allora presidente della sezione di Ivrea), con gli attuali presidenti di Ivrea, Marco Barmasse, e di Aosta, Carlo Bionaz, stretti nell’abbraccio fraterno dei rispettivi vessilli sezionali e dei 23 gagliardetti della sezione di Ivrea, dei 7 di Biella e dei 4 di Aosta, oltre ai circa 500 pellegrini che ad un richiamo secolare salgono sempre numerosi alla vetta “simbolo”.

    Margherita Barsimi

    (La storia della costruzione, dell’abbandono e della ricostruzione del monumento del Redentore sul Mombarone è contenuta in “Mombarone – Un simbolo per tre comunità” – Edizioni Bolognino, Ivrea)