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Gli “alpin dla bassa” hanno spento 90 candeline. La festa ha avuto inizio con il locale nucleo di Protezione Civile ANA - la cui colonna mobile conta 74 volontari - che ha allestito a scopo dimostrativo un campo di prima accoglienza, completo di tende, cucina mobile e tensostruttura per la distribuzione dei pasti.
“La Grande Guerra… un popolo in armi” è il titolo del CalendEsercito 2015, ideato e realizzato dallo Stato Maggiore dell’Esercito, che ha come tema la ricorrenza dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale.
Sono la moglie di un alpino e per la prima volta io e la mia bambina di tre anni abbiamo partecipato ad un raduno alpino, quello del 1° raggruppamento. È stata una bella esperienza! Per entrambe! Una bella atmosfera, di grande serenità e di gioia.
Continua la serie di appuntamenti legata al centenario. È in edicola la monografia di Meridiani Montagne, dedicata alle cime della Grande Guerra.
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Ci sono una data e un luogo ai quali ho sempre pensato di far risalire il mito degli alpini. È la notte senza luna tra il 15 e il 16 giugno 1915, sul Monte Nero, nell’attuale Slovenia. Con il favore del buio, un gruppo di alpini dei battaglioni Susa ed Exilles riesce a raggiungere la vetta e ad assalire di sorpresa la postazione nemica. Lampi, boati scuotono la notte. Il Monte Nero, sotto il comando del capitano Arbarello, è preso.
Questo, come dicevo, è il mito dell’ardimento alpino così come me lo sono sempre immaginato, quello della faccia dura, delle penne nere che non si tirano indietro davanti al pericolo e sanno mettere in gioco la vita per arrivare all’obiettivo. Ma c’è un altro mito degli alpini, al quale mi sento più legato, e che è poi l’altra faccia della stessa medaglia. È quello dell’alpino buono, pronto ad accorrere, ad aiutare, a tirarsi su le maniche e a faticare per gli altri.
“Ad excelsa tendo”. Il motto del 7° Alpini campeggia nella sezione di Monza sopra gli stemmi delle cinque Brigate. Con immodestia ci eravamo prefissati di chiudere la serie di tre conferenze sulla storia degli alpini invitando tutti i presidenti dell’ANA non solo per un titolato intervento sui temi proposti, ma soprattutto per “tirare la volata” all’incipiente raduno del 2° rgpt. Ebbene, sala strapiena di penne nere e serata riuscitissima giovedì 12 giugno, grazie soprattutto alla innegabile oratoria e affabilità dei tre presidenti: l’attuale Sebastiano Favero e gli emeriti Corrado Perona e Beppe Parazzini. Il tema era: “L’ANA ieri, oggi e domani”.
Faccio riferimento alla lettera al direttore “La misura che fa la differenza” pubblicata su L’Alpino del mese scorso. Mi compiaccio per la sua risposta che mi sembra seria, pacata e condivisibile. Il nostro gruppo è nato per caso 29 anni fa con solo otto penne nere, non essendo il nostro un territorio di reclutamento alpino.
Impossibile dimenticare il 25 ottobre del 2009: l’immagine della folla di fedeli raccolti a Milano, in piazza del Duomo, per assistere alla beatificazione di don Carlo Gnocchi. La sua opera, la sua baracca come la chiamava lui, rappresenta ancora oggi l’eredità più bella. La guerra, il dramma della ritirata, le immagini di morte e distruzione cessarono di tormentare l’animo di questo grande uomo solo quando i suoi occhi poterono posarsi sui volti sereni dei suoi mutilatini.
Caro direttore, al termine del raduno del 1° raggruppamento che ha visto nella nostra Omegna la partecipazione, a detta degli organi ufficiali, di circa trentamila persone, sento il dovere di scrivere queste quattro righe per ringraziare tutti, sia per le presenze sia, soprattutto, per lo spirito testimoniato durante i tre intensi giorni.
Durante una escursione in montagna mi sono trovata in contatto con alcuni esponenti della vostra Associazione legati alla Protezione Civile. Nel bel mezzo di una discussione sull’immigrazione nel nostro Paese, una signora, che indossava la divisa della sezione di Monza e si vantava di essere degna portatrice della penna nera, si è esposta in modo chiaramente razzista, arrivando allo squallore di frasi come: «Negri di m…» e «Li ucciderei tutti», ripetute più volte e con viva convinzione.
A cinquant’anni di distanza dalla tragedia del Vajont, vorrei ricordare come si sono svolti i fatti ai familiari del geniere Giovanni Urriani e a tutti coloro che quella notte hanno perso parenti e amici. Poco prima della mezzanotte del 9 ottobre, nella caserma Fantuzzi di Belluno, suona l’allarme e l’ufficiale di picchetto irrompe nelle camerate della compagnia genio Pionieri intimando a tutti i militari di adunarsi nel più breve tempo possibile, in tenuta tattica, davanti al magazzino.
Saranno numerosissime le iniziative legate al centenario della Grande Guerra che coinvolgeranno il nostro Paese nei prossimi quattro anni. A un secolo di distanza alcune regioni, penso al Trentino Alto Adige e al Friuli Venezia Giulia allora parte dell’impero austro-ungarico, hanno già dato avvio a una serie di appuntamenti nel segno della memoria. Altri seguiranno con l’avvento del prossimo anno. Così sarà per il film di Paolo Cevoli, “Soldato semplice” girato nella magnifica terra, la Valtellina, eccezion fatta per preludio ed epilogo che avranno come protagonista l’immagine conosciuta in tutto il mondo, dei tre picchi rocciosi che affiorano dal blu: i faraglioni di Capri.
Approvo quello che è stato scritto da Perforato nel numero di giugno e da Moglia, nel numero di luglio, nelle pagine delle “Lettere al direttore”: no ai politici attorno al Labaro dell’ANA.