In partenza per l'Afghanistan il Corpo d'Armata di reazione rapida di Solbiate Olona

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    DI CESARE DI DATO

    Sulla spinta di una conferenza organizzata in gennaio a Milano dal Circolo della stampa sulla nuova realtà della NATO e sul ruolo delle Forze Armate italiane, il 21 marzo ho avuto un colloquio con il generale Mauro Del Vecchio, comandante del Corpo d’armata di stanza a Solbiate Olona (Varese). Un Corpo d’Armata speciale che non ha precedenti nel nostro Esercito. Fruisce della caserma Medaglia d’Argento Ugo Mara , un sistema di palazzine di recente costruzione, ben allineate lungo un vialone. All’ingresso sono accolto con cortesia da un sergente. Scambio due chiacchiere con lui durante le operazioni di controllo: è ben orientato sui compiti della Grande Unità, anzi è fiero di farne parte: la giornata comincia decisamente bene.

    Mi rileva il maggiore di cavalleria Carlo Salsotto, figlio d’arte: il padre fu mio anziano in Accademia e l’anziano, lo dico per chi non conosce le tradizioni di Modena, rimane per tutta la vita un dio in terra. Entro nell’area castrense e, dopo un secondo controllo, nella casermetta comando, moderna, quasi asettica. L’ufficio del comandante ha di diverso solo i mobili il cui stile, antico, dà una nota italiana alla sala.

    Il comandante, bersagliere d’origine, è persona affabile, aperta al dialogo, pacata. Ha un passato di tutto rispetto che, oltre alla vita di guarnigione in Patria, annovera la partecipazione, quale comandante, alle operazioni di pace in Bosnia, in Macedonia e in Kosovo. In chiusura di intervista dirà: Ho avuto la ventura di operare accanto a reparti alpini (il 3º e il 14º rgt) e ne ho potuto constatare l’alto spirito di dedizione al servizio. Avere la Brigata alpina Taurinense nella prossima missione in Afghanistan è per me motivo di grande soddisfazione .

    Come è formato il Corpo d’Armata di Solbiate a conduzione italiana? L’organico permanente prevede un comando interalleato, una Brigata trasmissioni che fornisce il supporto in caserma ed in operazioni, un reggimento trasmissioni su due battaglioni e un reggimento di supporto tattico logistico. Quello non prestabilito, da truppe fornite da altre Nazioni con i reparti necessari e sufficienti a fronteggiare l’esigenza del momento. Per l’imminente esigenza Afghanistan il Corpo d’armata avrà come base la Brigata alpina Taurinense a Kabul e supporti di altre Nazioni plasmati sui compiti e sul terreno di pertinenza. Inoltre sul posto troverà sei cosiddette Team di Ricostruzione Provinciale (n.d.r. PRT acronimo inglese) formate da truppe e da organismi civili, una sorta di Task Forces, di cui una a prevalenza italiana a Herat. Questi PRT rimangono in loco al cambiar dei Corpi d’Armata in avvicendamento e garantiscono la continuità dell’intenso lavorio a favore della democratizzazione dell’Afghanistan.

    Quali sono le sue dipendenze di comando? Sono di duplice natura quando operiamo in sede: una a carattere nazionale cioè dal Comfoter di Verona ed una dal comando NATO (SHAPE) a Bruxelles. In questo caso per la missione in Afghanistan, dal JFC a BRUNSSUM in Olanda.

    Il Corpo d’armata partirà in agosto per l’Afghanistan. Dovrà sostituire reparti americani? In Afghanistan sono in atto due operazioni ben distinte fra loro: la Enduring Freedom gestita dalla Coalizione con predominio USA nel Sud Est dello Stato per fronteggiare l’azione dei terroristi e la ISAF, condotta dalla NATO quale supporto della pace. Il compito di ISAF è sostenere le autorità afgane nel processo di democratizzazione della Nazione; esso è affidato a turno ai sei Corpi d’armata di reazione rapida dislocati in cinque nazioni europee. In agosto ci recheremo a Kabul e in altre zone per dare il cambio al Corpo a conduzione turca, in attesa, tra nove mesi, di essere rilevati dal Corpo d’armata a conduzione britannica. È in atto la settima spedizione ISAF. L’ottava sarà la nostra.

    Consistenza del personale fornito dal Corpo d’Armata? Oltre al comandante (nella persona del generale Del Vecchio, n.d.r.), circa 180 tra ufficiali e sottufficiali sui 600 dell’intero staff del comando e 600 elementi di supporto logistico. Inoltre la missione ISAF prevede la partecipazione di circa 8.000 militari di 37 Nazioni.

    Quali saranno le regole di ingaggio?Seguiranno il dettato del capitolo sesto della Carta delle Nazioni Unite che autorizza l’impiego della forza se minacciati. Comunque conseguono da accordi preventivi condivisi da tutti, afgani in primis. Il consenso è la base del nostro impiego sul terreno; ciò non toglie che si possano applicare regole più severe in caso di necessità. Il banco di prova saranno le prossime elezioni per un Parlamento democratico afgano. Inoltre la smobilitazione e il disarmo delle milizie locali in mano a veri e propri Signori della guerra .

    Come avverrà il cambio tra il contingente turco e il nostro?Avrà inizio a metà luglio, direttamente in teatro, per concludersi il 10 agosto. I reparti hanno avuto un amalgama in Italia a partire da gennaio in modo da parlare tutti la stessa lingua, seguire le stesse norme, camminare lungo lo stesso sentiero.

    Esiste un esercito afghano? Sì, è in via di ricostituzione unitamente alla polizia: il primo è addestrato dagli americani la seconda dai giapponesi. È questo un altro compito dell’ISAF insieme alla lotta alla droga (Gran Bretagna) e all’adeguamento del sistema giudiziario affidato all’Italia, intesa come Stato, non come Esercito.

    Il C.A. da Lei comandato e i cinque suoi omologhi schierati dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Turchia alla Spagna, possono considerarsi la base del futuro Esercito europeo? Al momento questi comandi fanno parte della struttura della forza della NATO; alcuni di loro hanno un rapporto particolare con l’Alleanza, ad esempio l’Eurocorpo di Strasburgo ha siglato un accordo tecnico per poter operare con essa. Egualmente ha fatto il Corpo d’Armata tedescoolandese di Munster. È possibile tuttavia che il nostro Comando possa operare nel contesto di operazioni a guida europea se l’Italia e le altre 10 nazioni contributrici (Germania, Grecia, Ungheria, Polonia, Portogallo, Spagna, Olanda, Turchia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America) lo rendano disponibile.

    Si conclude qui quello che, piuttosto che intervista, preferisco chiamare aperto colloquio tra colleghi appartenenti a due epoche totalmente diverse. Mi congedo dal generale Del Vecchio con animo più sereno verso questo Esercito così diverso da quello nel quale entrai 55 anni fa. Una serenità che mi ha trasmesso il generale con la fiducia che ripone nei suoi soldati e soldatesse e nella propria azione di comando. Lascio la caserma con la consapevolezza che l’Italia, una volta ancora, farà la sua degna figura: dopo il Mozambico affidato agli alpini di leva, l’Afghanistan affidato agli alpini (ma non solo loro) professionisti. Un interessante confronto.