La lunga colonna saliva piano: c’era la neve, c’erano larghe chiazze di prato cosparso di fiori bianchi ad annunciar la primavera, c’erano il freddo e il sole. Le Penne Nere salgono sulla cima, sono insieme ai morti che ancora abitano quei prati, quelle rocce, quei monti. Tutto è come allora, gli stessi cuori, lo stesso silenzio. Non appare anche a voi come qualcosa di meraviglioso e inspiegabile al tempo stesso? Io credo così.
Credo che tutti coloro che hanno cantato il Ta pum e l’Inno d’Italia e recitato sottovoce la Preghiera dell’Alpino, siano parte di un mondo puro e senza tempo che non fa richieste né domande, che non sogna traguardi inarrivabili né s’affanna a ricercar qualcosa che forse nemmeno esiste. Un mondo di uomini leali, dal sorriso disarmante, dai pensieri facili a comprendersi, che sanno amare e per sempre. E questo amore, in dono solo ai cuori semplici, sull’Ortigara ha costruito la sua casa. Le parole di don Rino all’omelia riecheggiavano care e piene di speranza la stessa che ha spronato gli Alpini a continuare sul sentiero tracciato dai loro Padri riempivano l’aria e la rendevano leggera e profumata.
L’indomani, quell’aria, scesa fino a valle, ha circondato ogni cosa quando migliaia di Alpini hanno sfilato per onorare i morti e le 207 anime del Labaro e per salutare il loro presidente che li aspettava e sorrideva. E pioveva, forte e incessantemente, perché piangevano anche lassù: piangevano il tenente Giovanni Cecchin, il tenente Guido Poli, il capitano Cappa, il sottotenente Galli, il tenente Santino Calvi, l’aspirante ufficiale Musso e il sottotenente del Val Leogra Adolfo Ferrero, morto appena ventenne. E piangeva il sottotenente Mario Rossi Tancredi caduto il 16 giugno sull’Ortigara, che nell’ultima lettera ai suoi cari scrisse: Morirò con voi nel cuore. Vi consoli la mia memoria e gridate con me Viva l’Italia .
Cadevano dal Cielo le lacrime dei tredicimila dell’Ortigara. Sotto il pianto di coloro i quali combatterono su quella cima ottantasei anni fa, sfilavano gli Alpini di oggi e dall’espressione dei loro volti pareva quasi che da quelle lacrime fossero accarezzati, perché sorridevano d’un sorriso dolce e continuavano la marcia: il cielo sopra le loro teste era grigio e minaccioso, ma nei cuori degli Alpini tutto era luce perché dopo aver tanto camminato, dopo tanti anni e tanta fatica, dopo la naja e la vita nel Gruppo, dopo i raduni e gli incontri felici, dopo il Friuli e l’Irpinia, il Mozambico e lo Sri Lanka, dopo mille e mille missioni di pace, dopo aver risposto ad ogni chiamata sempre Presente! , gli Alpini sono ritornati a casa. Quando questo accade dopo tanti anni e un lungo cammino, si assapora la vera felicità. E Giuanin ora sorride: Sergentmagiù, sem turnà a baita!
Mariolina Cattaneo