Ospiti, non sfollati: così sono accolte e trattate le persone nei campi. Ad accomunare i 1500 e più alpini volontari impegnati nei campi di accoglienza dell’Emilia terremotata, oltre alla passione per il proprio servizio, è la capacità di accoglienza, semplice e genuina. Umile, anche. “Perché, in fondo, siamo noi gli ospiti nella loro terra”. E forse è proprio questa ospitalità a doppio senso di marcia che rende possibile, al termine di una settimana di turno volontario, sfiancante, con orari da caserma, un’autentica solidarietà tra chi è colpito e chi viene per aiutare.
Dopo un quarto d’ora gli alpini erano già nei luoghi del primo sisma, spiega il consigliere nazionale Corrado Bassi, carpigiano da tempo ma montanaro dentro. Un centinaio di volontari subito tra Finale Emilia e Cento dove, tra l’altro, risiede Sergio Bonsi, coordinatore della Protezione Civile della sezione Bolognese-Romagnola che si è attivato subito.
La colonna mobile regionale a Finale al campo Robinson, le nazionali a Cento, e poi in tutti gli altri campi non gestiti direttamente: gli alpini non si sono mai fermati, prima per gestire l’emergenza, nella speranza di poter riaccompagnare le persone alle loro case, poi, dopo le successive scosse, nella prospettiva di una presenza duratura. “Dopo aver allestito i campi e dato vitto e alloggio – osserva Bassi – molti sono impegnati per alleviare le difficoltà di anziani, donne e bambini e rendere la vita nel campo un po’ meno dura”.
“In occasione del sisma de L’Aquila l’Emilia Romagna è stata una delle prime regioni ad intervenire”, racconta Alvaro Guardiani, vice coordinatore regionale degli alpini d’Abruzzo, di stanza nel campo della sua regione a Cavezzo. Anche allora erano in servizio, già alle 6,30 del giorno stesso. Milletrecento ore di lavoro a L’Aquila, osserva, e “anche qui dobbiamo lavorare tanto; il campo non è ancora a regime, mancano teloni e climatizzatori per far fronte al grande caldo”. Sottolinea con orgoglio, Guardiani, il radicamento degli alpini su tutto il territorio nazionale, e ciò nonostante il “sentirsi sempre ospiti.
Abbiamo trovato persone che ci hanno accolto bene; siamo grati della loro disponibilità”. Una trentina di volontari, di tutte le quattro province – i terremotati de L’Aquila i primi a voler essere presenti – che, oltre ai pasti, operano per far fronte alle necessità impreviste, “grazie anche alle altre associazioni con cui ci siamo ben integrati. In questo campo si lavora con il sorriso”, spiega. Fino a quando?
“Finché c’è il campo – conclude – rimangono anche gli alpini”. Lo stesso per Franco Moro, sezione di Pordenone, a Mirandola al campo Friuli: “Siamo arrivati da subito per prestare soccorso e dal 20 maggio lavoriamo a spron battuto in cucina – racconta Moro, che la testa, oltre il tendone bianco del refettorio, non ha mai messo fuori per più di 10 minuti. Ribattezzato “Ristorante l’Alpino”, sforna 700 pasti. L’unica difficoltà è con gli immigrati, che non sempre si adattano al cibo: “Adesso va meglio, noi cerchiamo di fare con le attrezzature che abbiamo, siamo comunque in emergenza”. Anche per lui come per tanti il volontariato negli alpini è una scelta prioritaria. “Gli emiliani sono gente da adorare, veramente per bene”, osserva mostrando i cappelli realizzati apposta per loro dai bimbi insieme agli scout attivi nel campo: un berretto da cuoco con una penna di carta.
Anche piccoli gesti lasciano il segno: i quattro alpini del Cusio in supporto al campo Piemonte1 di Mirandola – 600 pasti al giorno – ma anche i singoli, e i camion di donazioni per questo o quel paese terremotato. Negli scatoloni che arrivano nelle parrocchie impegnate nella gestione dell’emergenza, da Carpi alla Bassa mirandolese, tra lo scatolame spunta lo stendardo della sezione di Trento, Reggio Emilia, Vicenza. “Scriva solo cose belle degli alpini – mi dice una donna uscendo da uno dei campi – sono delle persone stupende”.
Benedetta Bellocchio