Sofferenza e volontà

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    «Avremmo voluto essere qui in tanti. Comunque, nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia, ci siamo. Siamo qui con la tenacia di sempre, guidati da spinte fondamentali: fare memoria, della sofferenza di allora e della forza di volontà degli alpini di ieri e di oggi, e fare solidarietà. Essere uomini capaci di donare: è proprio con questi valori che guardiamo con fiducia al futuro». Si è rivolto così il Presidente nazionale Sebastiano Favero ad autorità e alpini nel piazzale della Scuola Nikolajewka di Brescia, il “monumento vivente” costruito dalle penne nere nel 1983 (ampliato nel 2000 e raddoppiato nel 2019) in ricordo della tragica ed epica battaglia in Russia del 26 gennaio 1943.

    Un 79º anniversario che a fianco del Labaro ha visto schierarsi i vessilli di venti Sezioni e i gagliardetti di circa 180 Gruppi: rappresentanza folta, ma limitata, causa Covid, ai soli Presidenti e alfieri. Assente, per lo stesso motivo, una fanfara; inni e comandi sono stati affidati ad un solo, bravissimo, trombettiere, il quale ha accompagnato anche l’alzabandiera, che ha visto salire su due pennoni il Tricolore e la bandiera della Federazione Russa, a ricordare il Patto di fratellanza tra le genti bresciane e quelle della provincia russa in cui si trova la città di Livenka (di cui Nikolajewka è un sobborgo e dove gli alpini hanno costruito nel 2018 il Ponte dell’Amicizia sul fiume Valuji).

    Anche quest’anno la rievocazione ufficiale, stante ormai l’impossibilità di affidare questo compito ad un reduce, è stata affidata a Davide Forlani, past president della Sezione di Brescia, il quale, traendolo dalle pagine del Sergente della neve di Mario Rigoni Stern, ha costruito un grande mosaico umano, perché Nikolajewka fu sì una pagina di storia, ma fu soprattutto un universo di storie di singoli uomini: così da quelle pagine sono riemerse figure come Nelson Cenci, Cristoforo Moscioni Negri, Silvio Sarti, padre Pedroni, Francesco Minelli, Cèco Baroni, Mario Moreschi, Antonio Lombardi, Giuseppe Marangoni e altri, sino al mai identificato Giuanìn che pronunciò la celebre domanda “Sergènt magiùr, ghe riverem a baita?”, divenuto archetipo di tutti gli alpini, pronti a sacrificare la vita per la salvezza degli altri.

    Se il gen. Marcello Orsi, comandante del Centro Addestramento Alpino di Aosta, ha portato i saluti del comandante delle Truppe Alpine, gen. C.A. Ignazio Gamba, è toccato all’assessore comunale Valter Muchetti e al Prefetto di Brescia, Maria Teresa Laganà, appena insediata, rendere merito agli alpini per quanto fanno a favore della comunità. «Sono stata molto fortunata – ha detto il Prefetto – perché prima ho lavorato in Friuli e in Veneto, altre terre alpine e ho visto cosa avete fatto in ogni Comune: in questa pandemia non so cosa avrebbero fatto senza di voi la maggior parte dei sindaci».

    La tradizionale offerta dei ceri e della corona davanti alla lapide che nella grande struttura per la disabilità ricorda Nikoajewka è stata affidata agli alpini del Gruppo di Flero, paese che a giugno ospiterà l’Adunata sezionale di Brescia. Quindi, senza la tradizionale sfilata in centro, le penne nere hanno raggiunto la cattedrale di Brescia, dove il vescovo, mons. Pierantonio Tremolada, ha celebrato la messa in ricordo dei Caduti. Nell’omelia il presule ha affrontato il tema della carità, che pure si è evidenziata in un’occasione tragica come fu la battaglia: «Là ritroviamo la carità dell’alpino per il fratello alpino – ha detto mons. Tremolada – carità che gli alpini di oggi hanno trasformato in prezioso bagaglio per la società, a cui corrono ancora in aiuto ad ogni richiamo ».

    E citando le parole di don Gnocchi ha ricordato «Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio. È con questo spirito – ha concluso – che celebriamo l’anniversario, perché la carità è amore che tutto dona senza chiedere nulla in cambio. Non è molto frequente, lo sappiamo, ma la sua radice misteriosa, che è cresciuta nel cuore degli alpini, anche nell’orrore della guerra, si è trasformata in senso dell’onore, senza odio né viltà. Un grande messaggio d’amore che invita ad aiutare chi è più debole».

    ma. cor.