La consapevolezza storica

    0
    374

    Siamo al Centenario dell’entrata in guerra. Fioriscono ovunque iniziative volte a commemorare i sacrifici dei nostri soldati sui fronti del massacro. E tutte prendono forma sotto la denominazione comune, ora ampiamente assodata, del “per non dimenticare”. Sto pensando: il mondo cambia, va mutando aspetto, dimensioni e modi nell’uso del principio di ragione con una rapidità impressionante. In questo alternarsi di vortici e cadute del pensiero razionale e delle migliori spinte emozionali noi sentiamo la necessità di gettare luce su ciò che è stato, su ciò che di terribile migliaia, milioni di persone hanno subìto.

    Quelli come me, che sono venuti al mondo negli anni ’30, son cresciuti su uno scenario di vita talvolta tormentoso, sconvolto da guerre, vicine e meno vicine. Ricordiamo abbastanza bene le vicissitudini imposte con violenza inaudita dal secondo conflitto mondiale, ma nulla abbiamo vissuto della prima guerra e delle avventurose ambizioni colonialistiche. Guai per la nostra identità storica se dimentichiamo ciò che è stato nella sofferenza e nelle atrocità della guerra; è dovere primario rimembrare il male portato fra le genti dai vari conflitti armati, tutti, senza esclusione, compresi nel concetto di “inutile strage” come ebbe a definire la guerra 1914/1918 Papa Benedetto XV. Vengo al sodo; il punto è questo: posso dimenticare o non dimenticare soltanto i fatti che sono caduti sotto la mia esperienza, che ho percepito, anche se solo in parte e in modo incompleto, con i miei sensi. Per ricordare o scordare un evento lo devo aver vissuto, non mi basta averne udito un qualche resoconto per quanto dotto, rivelatore e fedele possa essere stato. È a questo punto che sposto la mia riflessione sui nostri ragazzi, su quelli che vivono la realtà quanto mai caotica dell’ora e qui e subito. Questi ragazzi, e lo posso affermare attingendo alla mia trascorsa esperienza di uomo di scuola, incontrano serie difficoltà nel tentativo, da noi promosso e stimolato, di formarsi rappresentazioni su quanto non hanno avuto possibilità di sperimentare personalmente. Ci industriamo nel comunicare loro la necessità di non dimenticare i lutti, i sacrifici, le sofferenze, le vessazioni, i disastri subìti da gente che non c’è più e, nella maggior parte dei casi, l’uditorio finisce per guardarci con un qualche stupore, forse con un po’ di incredulità, come a voler dire «ma perché l’hanno fatto, chi gliel’ha fatto fare, era proprio necessario, non potevano rifiutarsi? ». Il nostro messaggio educativo potrebbe così raggiungere una minima parte degli adolescenti che ci ascoltano, perché gli altri, distratti da mille chimere o preoccupazioni legate al loro stato evolutivo, continuerebbero a procedere su sentieri diversi. Che cosa avrebbero da dimenticare? Tutte quelle brutture che noi andiamo sciorinando dinanzi ai loro occhi non sono altro che fantasmi, concetti vuoti di significato. Se siamo partiti con il proposito di innestare nella cultura dei nostri giovani l’imperativo “non dimenticare!”, allora è di necessità scegliere un’altra via, quella più precisamente della “consapevolezza”. Creare consapevolezza storica vuol dire guidare a riflettere, ad analizzare i fatti nelle loro componenti anche meno appariscenti ma determinanti, a rivestire le informazioni con disposizioni empatiche, a immedesimarsi nelle situazioni e negli eventi in cui vennero a trovarsi i giovani di cent’anni fa. Perché è la consapevolezza che difetta nella nuova generazione, è il rendersi conto che il tutto dell’esistenza non si risolve in ciò che il mondo dell’oggi riesce a offrire. Più che mai urgente, allora, puntare sulla coscienza e aprire le menti su una realtà in continuo divenire, una realtà che talvolta è precipitata in abissi paurosi e che si sarebbe potuta presentare in tutt’altra forma se l’uomo avesse saputo attingere alla vera e più profonda essenza della propria umanità. Ma sto accennando anche a una consapevolezza proiettata nel futuro, perché questo non si macchi mai più, a sua volta, di tinte oscure, come quelle che la storia trascorsa ci ripropone. È solo per questa via, credo, che dalla graduale formazione di consapevolezza possa discendere l’embrione di una cultura gravida di genuini significati storici, sociali, umani in un contesto trasformazionale dove viene da sé, e procede impellente, il bisogno di non dimenticare. È in quest’ottica che scorgo le migliori prospettive educative per un percorso formativo rivolto ai nostri giovani attraverso interventi mirati disposti dagli Alpini nelle Scuole, in stretta sinergia con il Corpo docente.

    Mario Bruno – Gruppo di Barge, Sezione di Saluzzo