Il dovere alla difesa

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    Egregio direttore, a proposito della guerra, delle sue realtà, del V Comandamento, penso si debbano fare delle considerazioni di ordine generale al di là delle opinioni personali. Non penso ci sia nessuna persona civile disposta ad insegnare che «la guerra è bella, piace, diverte», tranne i tagliatori di gole distruttori della civiltà in rapida moltiplicazione. Per rimanere in ambito più o meno militare è chiaro che un soldato consapevole del suo ruolo accetta il rischio, insito nell’uso delle armi, dei danni che possono derivarne. 

    Cercherà di ridurre il rischio colpendo per primo, se necessario, in quanto il militare deve essere principalmente pronto all’uso delle armi e non del badile. Detto questo i comandamenti danno linee guida morali di altissimo livello, di indiscutibile ed immortale valore, ma il mondo non è il bello che ognuno di noi vorrebbe e la realtà visibile di tutti i giorni non è frutto della immaginazione. A volte per tentare di limitare il peggio, un soldato è costretto appunto ad “ignorare” il V Comandamento, senza per questo doversi considerare un miscredente. In ogni caso l’Italia, a torto o a ragione, è uno stato laico dove sono presenti molte religioni con principi diversi, per cui il comandamento in oggetto potrebbe non avere il valore di dogma ma solo una linea di condotta variabile secondo le circostanze. Nello stabilire cosa è meglio e cosa è peggio ci dovrebbe comunque essere un massiccio uso della ragione alla quale, purtroppo, diamo un senso assai personalizzato.

    Giuliano Bertaia, socio aggregato Sezione Pavia

    Per non scomodare il passato, quando la cultura e le logiche per gestire le controversie erano ben diverse da quelle attuali, è necessario partire dall’articolo 11 della Costituzione che recita testualmente: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Da cui se ne deduce che le azioni militari non sono mirate “ad andare ad uccidere”, ma esclusivamente a scopi di difesa e di perseguimento della pace in alcune parti della terra. È chiaro che in queste azioni militari si corre il rischio di morire, prima ancora che di uccidere. Ma tutto questo non ha nulla da spartire con il V Comandamento e tantomeno con la laicità. La difesa è un bene primario, così come la pace, e perseguirle, in tutti i modi, è azione benefica per l’umanità.