Due giorni in (Gran) Paradiso

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    I vecchi raccontavano di come il Signore delle montagne avesse preso a paragone il paradiso per crearlo; e quando finì la sua opera, nel rimirarla, decise che l’aggettivo “grande” fosse quello che, meglio di altri, potesse accompagnarlo. E da tempo immemore le genti lo chiamano Gran Paradiso… Maestose vette che sovrastano aspri dirupi, riposanti pianori, laghi incantati e boschi misteriosi. Delicate e poi forti tonalità di colori si susseguono in un’armonia di immagini che sempre stupisce l’occhio di chi guarda la Valle Orco.

     

    Valle Orco: soprattutto terra di gente di montagna; uomini e donne che nei secoli portarono scolpita nei volti la sofferenza per una dura esistenza fatta di fatica e privazioni; uomini e donne che accudirono con rispetto ed amore la montagna, loro fonte di vita. Qui, ai 2.049 metri del Gran Prà di Noasca, Marco Solive e Sabrina, con la piccola Erika, hanno scelto di trascorrere le estati della loro vita per accudire le greggi e la montagna. Con loro, ad alleviarne la fatica, Paris e Linda, i due cani guardiani del gregge, Giulia e Giulio, la cavalla e l’asino, e per ultima, ma non poteva mancare nella baita di un alpino, Pola la mula.

    È stata proprio Pola, la curiosa di casa, ad andare incontro e ad accogliere per prima, sabato 16 luglio, gli oltre duecento alpini ed amici che, dopo l’alzabandiera a Noasca, sono saliti a Gran Prà per festeggiare Marco. Una lunga fila di “arrampicatori” – ed “arrancatori” – che si è snodata lungo gli ottocento metri di dislivello dalla borgata Balmarossa. Dopo quello con Pola, qualche metro più su, l’incontro con Marco, il premiato; ed è stato come ritrovare un vecchio amico dopo tanto tempo: chi con una calorosa stretta di mano, chi con un fraterno abbraccio, tutti hanno voluto testimoniargli la soddisfazione del desiderato incontro. Tra i molti, anche i premiati degli anni precedenti, i consiglieri nazionali, i membri della commissione del Premio, il direttore della nostra testata e numerosi presidenti di Sezione.

    A far gli onori di casa, il presidente della sezione di Ivrea, Marco Barmasse. Presente in buona forza a Gran Prà, la fanfara della Sezione ha accompagnato, nella tarda mattinata, i canti ed i pensieri degli alpini e non. Sull’alpeggio calava la nebbia quando nei piatti veniva servita la classica polenta e spezzatino, cucinata dagli alpini della Sezione. A tavola – si fa per dire: ognuno si arrangiava tra lo spuntone di una roccia e l’altra – la conta di quanti camosci e quante marmotte si erano incontrate durante la salita era l’argomento più dibattuto, mentre il solito spirito alpino spaziava tra vecchi e nuovi ricordi dei compagni d’armi. Poi il “rompete le righe” e la discesa a valle, verso Ceresole Reale.

    Qui, a tardo pomeriggio, nel salone dello storico “Grand Hotel” – ricetto che ha visto incontrarsi la nobiltà sabauda di fine Ottocento – è andata in scena un’emozionante rappresentazione di racconti, suoni, canti ed immagini, illustrata dalla voce narrante dell’alpino Gerardo Colucci e dal coro della sezione di Ivrea. Cinque quadri di vita del Gran Paradiso: dalle emozioni del risveglio della natura all’emigrazione della Valle Orco, dai suoi primi e vecchi alpini alle tragedie dei Caduti del territorio, fino ad incontrare la storia di Marco nel suo alpeggio. Poi la domenica. Una stupenda giornata di pioggia: nuvole e brume che evocano la fatica e le privazioni della vita in montagna a far da scenario al cerimoniale.

    L’alzabandiera; l’arrivo del Labaro scortato dal presidente Corrado Perona, dai consiglieri nazionali e dal generale Claudio Rondano comandante il Centro Addestramento Alpino di Aosta; la sfilata per le anguste stradine aperta dalla fanfara della sezione di Ivrea, la Messa nella chiesa parrocchiale, dove si sono tenuti i rituali discorsi delle autorità e la cerimonia della consegna del 31° Premio Fedeltà alla Montagna ad un emozionato Marco Solive; quindi la deposizione delle corone ai monumenti dei Caduti e degli alpini hanno concluso, sotto la pioggia battente, il lungo ma intenso cerimoniale di Noasca, vecchia borgata di montagna.

    Montagna, parola magica che evoca nell’alpino ricordi ed emozioni che vanno al di là dei grandiosi panorami che da sempre essa offre e dove le conquiste hanno l’agro sapore della fatica che la tenacia e l’amore rendono miracolosamente soave… Montagna, dove pregare è ascoltare i silenzi… Silenzi, che trascinano il pensiero dell’alpino ai suoi “veci”, conosciuti e non; uomini che hanno posato i loro scarponi sulla polvere dell’Abissinia e della Cirenaica, sui ghiacci dell’Ortigara e del Pasubio, sulle rocce della Galizia e del Montenegro e, ancora, sulla lontana neve del Don… Silenzi, che raccontano di un mondo che fu; di un antico vivere di semplici cose, di disadorna materia, di umili comportamenti e di grande dignità.

    Un antico vivere che ci ha consegnato la montagna intatta nel suo incanto, nella sua maestosità, protetta dall’arroganza dell’uomo e dall’oltraggio del tempo. Montagna, dove Marco e Sabrina, con la piccola Erika, hanno scelto di trascorrere le estati della loro vita per accudire le mandrie e i pascoli, che per vivere chiede all’uomo dedizione, attaccamento, rispetto, amore… E un sentimento forse d’altri tempi: fedeltà…

    Ciribola


    Marco, un Alpino che esalta il Premio

    Tutti i trentun premi di Fedeltà alla Montagna sono meritatissimi e non vogliamo certo fare delle graduatorie di merito, ma quello assegnato a Marco Solive, alpino di Noasca, in Val d’Orco, nel canavesano, è certamente tra i più rispondenti alle finalità perseguite dall’ANA.

    Questo alpino, poco più che trentenne, con la moglie Sabrina e la figlioletta Erika gestisce una malga nel luogo più bello e più disagiato dello Stivale. Gran Prà, la località dove sono state in qualche modo recuperate alcune baite, il premiato riesce a gestire nella stagione estiva un’attività di monticazione con un centinaio di mucche, cavalli, asini, capre, cani, pollame e a produrre una prelibatezza delle Alpi piemontesi, la toma. La malga si trova ad oltre duemila metri d’altitudine, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Paradiso, a qualche chilometro dalla Casa di caccia di Vittorio Emanuele II.

    “Splendido!” vien voglia di gridare. Sì, è un posto affascinante, regno incontrastato delle marmotte, dei camosci e degli stambecchi, oltre che dei panorami mozzafiato, delle sorgenti, della flora dai colori smaglianti. Ma lì si arriva solo a piedi, con un dislivello di circa ottocento metri dal primo centro abitato, con la pendenza costante che caratterizza le vallate piemontesi. Le regole ferree del Parco non consentono di toccare un sasso e quindi il sentiero per arrampicarsi fin lassù è quello dei secoli passati, frequentato da pastori, re, cacciatori e bracconieri. Eppure lassù, dove le paturnie della vita moderna non arrivano quasi mai, Marco si alza ogni mattino allo spuntare del sole, munge le mucche, lavora il formaggio, fa girare la zangola, cura gli altri animali da cortile e per tre mesi e mezzo vive e fa vivere la montagna come il nonno e chissà quanti altri montanari che su quei pendii hanno saputo dare continuità alla vita della natura.

    Quando i duri, zaino in spalla e grinta da grimpeur, dopo un’ora e trenta, due o due e mezza, a seconda del carburante nelle ginocchia, sono arrivati in malga, hanno guardato con soddisfatta commiserazione la trentina di rammolliti saliti in elicottero che oziavano tra una baita e l’altra. Pian piano si è composta una piccola folla che, ammirata, ha festeggiato Marco e Sabrina come si conviene in un luogo come quello. Niente discorsi, qualche marcetta da parte della banda, quasi in sordina per non spaventare polli e caprette riparatesi sotto un gran roccione in attesa che gli scocciatori se ne andassero via. Splendida nella sua disinvolta semplicità la bambina Erika: si guardava attorno sorpresa e incuriosita da una masnada di intrusi che andava a sconvolgere i silenzi delle sue interminabili giornate in simbiosi con la natura.

    In questo clima di fraterna condivisione che solo la montagna sa creare, il vice presidente nazionale Bertino, il presidente della commissione premio Fedeltà alla Montagna Minelli, il vice presidente vicario uscente Valditara, consiglieri nazionali, alpini, vessilli e qualche curioso hanno festeggiato il premiato e la sua famiglia, ammirati per una scelta di vita che sembra ricordare il libro Cuore.

    Vittorio Brunello

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