Lo calziamo sul capo e per noi alpini è come se fosse un secondo cuore. È anche un po’ la nostra carta d’identità perché di ognuno ne rivela la storia: la specialità, il reggimento, il grado e, quando è vissuto , perfino l’età. E di anni il cappello alpino ne ha raggiunti ben cento, un bel traguardo, costellato da qualche difficoltà, come quella a metà del secolo scorso, quando rischiò addirittura di scomparire!
L’antesignano del cappello di oggi fu adottato il 5 marzo 1873. Era in feltro nero, al posto della nappina aveva una coccarda tricolore e il fregio era a forma di stella a cinque punte. Negli anni seguenti il cappello variò più volte finché, dopo un periodo di sperimentazione nel 1909, prima tra gli ufficiali e poi tra la truppa, il 20 maggio 1910, venne adottato un nuovo modello in grigioverde, molto simile a quello di oggi.
Il cappello è di feltro di pelo di coniglio; la penna, lunga dai 23 ai 30 centimetri, è nera, di corvo, per la truppa; i sottufficiali e gli ufficiali inferiori la portano marrone, d’aquila, mentre è bianca, d’oca, per gli ufficiali superiori.
Nel 1949, con l’entrata dell’Italia nella Nato e la necessità di uniformare le divise, si pensò di adottare un berretto color kaki, senza penna e con fregio di specialità, chiamato norvegese e di sfoggiare il cappello alpino soltanto durante le parate e le cerimonie in alta uniforme. Ma la resistenza degli alpini, a partire dagli ufficiali, in difesa dell’amato cappello con la penna fu tanto tenace che i comandi furono costretti a declassare il berretto all’uso in altre mansioni.
Una sua variante, spesso confusa con la norvegese , è il copricapo chiamato stupida (diversa nel colore e nella foggia, con la particolarità di non tenere la forma), utilizzato per le incombenze più umili. Questi due berretti sono ancor oggi presenti nel corredo di ogni alpino in armi ma sono sempre stati un po’ alieni dal mondo alpino tant’è il fascino, la storia e l’unicità dell’amato cappello con la penna.
Lo portano oggi, con immutato orgoglio, gli alpini in Patria e quelli dei reparti inviati in terre lontane, in territori devastati dalla guerriglia. E quando le circostanze lo impongono, lo sostituiscono con l’elmetto, sul quale spicca la nappina con la penna: sono gli elementi che distinguono gli alpini da tutti gli altri.
Tanti auguri, dunque, caro cappello alpino e cento di questi anni! (m.m.)
Pubblicato sul numero di maggio 2010 de L’Alpino.