Chi conosceva il generale di Corpo d’Armata Luigi Morena, il Comandante, era convinto che questo momento non sarebbe mai arrivato. Gino, come si faceva chiamare dalla gran parte degli amici, sembrava eterno. E invece, con lo zaino dei suoi novantanove anni abbondanti sulle spalle, è “andato avanti” anche lui. Un uomo davvero speciale, per la tempra fisica che gli ha permesso di arrivare alla sua età, per la lucidità e l’effervescenza dello spirito, che non l’hanno mai abbandonato. La sua grande dote, tuttavia, era l’affabilità con cui riusciva a farsi voler bene a prima vista, con un sorriso che era un segnale di apertura e di accoglienza. Metteva chiunque a proprio agio, con qualcuna delle sue battute fini e spiritose.
Ogni alpino per lui era letteralmente un figlio e, quando poteva usare l’espressione “i miei allievi”, gli si illuminavano gli occhi. Si riferiva agli allievi della Scuola Militare Alpina di Aosta nel periodo in cui l’aveva comandata. Nei loro confronti nutriva un affetto particolare e, se aveva notizia di qualcuno che era “andato avanti”, diceva con tristezza: «Mi ha disobbedito.
Avevo dato l’ordine che nessuno se ne andasse prima di me». Era per quei suoi allievi e per i tanti suoi alpini che se ne erano andati, in guerra e negli anni seguenti, che recitava in modo speciale la Preghiera dell’Alpino. Lo faceva con un trasporto e una passione che contagiavano chi lo ascoltava; e l’emozione e la commozione diventavano palpabili, nel silenzio assoluto dei fedeli. Succedeva ovunque la recitasse, nel Duomo di Milano per la Messa di Natale, nel Duomo di Como e in tutti gli altri posti in cui veniva invitato.
Non raccontava molto della sua partecipazione alle guerre sul fronte occidentale o in Montenegro. Preferiva parlare di alcune vicende della Guerra di Liberazione, che aveva combattuto con il Regio Esercito. Si definiva un “partigiano con le stellette” e non gli piaceva che le vicende venissero ingigantite, ma le raccontava con semplicità e modestia. La stessa modestia che dimostrava quando capitava che lo si presentasse come decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. Si affrettava a spiegare che le medaglie vengono conferite ai comandanti dei reparti, perché, se le dessero a tutti, ne verrebbe svilito il valore. «L’hanno data a me – spiegava – ma se la sono guadagnata i miei alpini, soprattutto quelli che non sono tornati». L’evento che raccontava più spesso era l’entrata in Bologna liberata, con gli alpini e con l’appoggio di un plotone di bersaglieri. Il sottotenente piumato gli aveva proposto di entrare in città a passo di corsa e lui gli aveva risposto: «Corra pure, lei che è un bersagliere. Io la seguo a passo cadenzato, sono un alpino».
Insomma, anche nelle circostanze critiche delle vicende di guerra non perdeva mai il senso dell’umorismo. Capitava spesso che gli ex allievi dei diversi corsi lo invitassero a partecipare ai loro incontri annuali e lui accettava sempre con piacere. In molte di quelle occasioni, a un certo punto fingeva di avere un dubbio e diceva: «Voi avete giurato tutti nelle mie mani. Chissà cosa rispondereste oggi, se vi recitassi ancora la formula del Giuramento?». Poi la recitava davvero e, immancabilmente, i suoi ex allievi alzavano la mano destra gridando con tutto il fiato «Giuro!».
Poteva sembrare uno scherzo, ma non lo era affatto e tutti erano percorsi dallo stesso brivido provato quaranta, o cinquant’anni prima durante il vero Giuramento, con lo stesso Comandante. Il generale Morena era piacevolissimo anche durante i momenti conviviali, dove riusciva a tener banco per una serata intera. Era galante con le signore che ricopriva di complimenti con grande finezza e ottimo intrattenitore dei signori con racconti simpatici. Era pressoché inevitabile che alla fine dell’incontro gli venisse chiesto di cantare La zanzara, una canzone da caserma, che però lui addomesticava e raffinava.
Bellissima la preparazione del coro “zzz zzz zzz…” che Gino istruiva con l’aria del direttore d’orchestra, pretendendo prima due o tre prove. E il risultato era sempre lo stesso, con applausi e risate a crepapelle. Lui allora esprimeva una preoccupazione: «Spero che in futuro mi ricorderete come colui che recitava, non leggeva, la Preghiera dell’Alpino, commuovendosi, e non perché cantavo La zanzara». Non preoccuparti, caro Comandante, ti ricorderemo per l’uomo che sei stato, carico di umanità e incarnazione di tutti i valori più preziosi in cui crediamo. Uomo semplice, nonostante il tuo passato importante.
Ti ricorderemo col tuo sorriso e continueremo a volerti bene. Sicuramente, nel Paradiso di Cantore hai già individuato i coristi e li stai preparando per la versione, edulcorata, della zanzara! Ricorda di fare qualche prova e poi… e poi goditi il meritato riposo.
Chicco Gaffuri