Al Sacrario di Caporetto

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Questo pezzo ce lo manda il direttore della rivista della sezione di Trieste,
L’Alpin de Trieste . L’ha scritto un giovane della città e lo pubblichiamo
volentieri proprio perché scritto da una persona lontana almeno tre generazioni dalla battaglia di Caporetto e poi perché è veramente singolare che, negli anni bui del secondo dopoguerra gli jugoslavi abbiano rispettato, per nostra fortuna, il Sacrario che raccoglie tanti nostri Caduti. Stranezze della politica internazionale.




Fa freddo a Caporetto. Ma non c’entra la neve e neppure il vento, è un freddo che ti prende dentro; guardi i monti attorno a te e ti si congela il sangue. Cerchi di scaldarti entrando nel museo ma migliaia di occhi fissati nelle fotografie appese alle pareti ti tolgono il fiato. Non ce la facciamo, usciamo, stringo la mano alla mia ragazza, ci guardiamo ma nessuno dei due parla. Restiamo in silenzio fino alla fine della strada che conduce al Sacrario di Caporetto dove riposano 7.014 fratelli; il pensiero corre lontano nel tempo. Poi ripensi a quelle foto alle pareti,
sembravano tutti così giovani e tutti uguali a te. Caporetto: c’è uno strano silenzio tutt’intorno, persino la natura sembra tacere in segno di rispetto verso coloro che nel 1917 sono andati avanti e quel rispetto, puro, non conosce divise o Nazioni… È un silenzio che ti urla dentro, il silenzio più rumoroso che abbia mai sentito! Fa freddo a Caporetto.


Giuseppe Rizzo Trieste