Grande Abruzzo

0
48

Latina, terra di miti, di eroi e di bonificatori è diventata anche alpina?Non c’è città più piatta e lontana dall’idea delle montagne che si possa immaginare. Geometricamente sviluppata attorno alla bella piazza del Popolo si caratterizza per la compostezza degli edifici, le strade rettilinee, le aiuole rimesse a nuovo, ma non ha nulla da spartire con le penne nere, tranne i coloni. Allora hanno sbagliato indirizzo quei gruppetti di alpini sparsi per le vie semideserte, a curiosare come turisti della terza età, fin da martedì 6 maggio?

Verrebbe voglia di dire di sì. Eppure sono bastati un paio di giorni per trasformare la tranquilla capitale dell’Agro Pontino in una città palcoscenico tra le più spettacolari che si possano immaginare. È stato spazzato via d’improvviso l’incedere flemmatico delle signore, ingioiellate come le madonne dei santuari più gettonati, e si è imposto l’attivismo frenetico di falangi di giovani, meno giovani, anziani, diventati ope legis proprietari di ogni spazio disponibile per piazzare camper, camion, furgoni, tende, cucine.

Con l’aria di chi è abituato a sentirsi ovunque a casa sua, questi inguaribili cultori del fai da te hanno dato il via alla liturgia delle salsicciate, dei canti, delle fanfare, degli approcci con la popolazione, meglio se al femminile, e sabato sera, finalmente, sono diventati un’onda d’urto, anzi uno tsunami che ha travolto tutto e tutti. Vecchi soli, famigliole con carrozzina, ragazzi e ragazze erano nelle vie, nelle piazze, nei giardini a vivere in allegria la più coinvolgente delle manifestazioni popolari.

La radice profonda di un popolo legato ai sentimenti atavici delle civiltà dei borghi, delle contrade, dei filò si è liberata dall’ingessatura di una vita stressante, vissuta nell’anonimato di quartieri senz’anima, ed è esplosa in una fantasia liberatoria, trascinando tutti in una sarabanda contagiosa, che nasconde un inguaribile bisogno di sentirsi parte di una stessa grande famiglia. Domenica mattina, cambia completamente il registro.

Sul lunghissimo rettilineo, che partendo da via Isonzo spacca la città in due, dietro le transenne, centinaia di migliaia di persone sono lì ad applaudire la bandiera di guerra, i reparti in armi, il labaro nazionale dell’ANA e via via alpini decorati, invalidi, mutilati, IFMS, Protezione Civile, sezioni all’estero. Per nove ore una marea disciplinata passa davanti alle tribune a salutare il presidente nazionale e le autorità militari e civili.

È il volto vero dell’associazione che senza ordini di caporali s’inquadra, porta fanfare, muli, striscioni per dire che c’è un’Italia che non vuole arrendersi al conformismo di una società decadente. Il capo di Stato Maggiore dell’Esercito, gen. Fabrizio Castagnetti, alla domanda cosa spinge questi uomini a marciare come reclute, per ore sotto il sole, soddisfatti solo di esserci? , risponde: L’attaccamento alla divisa che hanno portato, con tutto quello che significa .

Dopo una giornata di sfilata, applausi e trentatrè è il momento della sezione Abruzzi. Appena s’intravvede in fondo al viale la grande aquila issata su un’asta, simbolo della sezione, la folla comincia ad agitarsi. Sulle tribune sono tutti in piedi. Con passo lento, movimento compatto, avanza l’alpinità abruzzese. Un fiume di camicie grigio verdi che non finisce mai. Sono gli eredi del mitico battaglione L’Aquila, i testimoni dignitosi della tragedia del terremoto.

Scoppia un applauso irrefrenabile. Corrado Perona dimentica il protocollo e va loro incontro a braccia aperte. La gente piange, il presidente nazionale lascia scorrere le lacrime e saluta. È un’ovazione che dura un’eternità. Viene un nodo alla gola di fronte a tanta fierezza di uomini cui la storia e la natura non hanno fatto sconti. Sono venuti da tendopoli, macerie e morti per dire che loro ci sono sempre, costi quello che costi. Grande Abruzzo!

Vittorio Brunello

Pubblicato sul numero di giugno 2009 de L’Alpino.