Ritorno a Firenze per ricordare i 39.741 veneti sfollati nel 1917

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Il 27 e 28 settembre, in concomitanza con l’annuale raduno del 4º Rgpt., che quest’anno si terrà a Firenze, organizzato dalla Sezione, si svolgerà anche una particolarissima manifestazione.

Nel 90º anniversario della fine della Grande Guerra il Comune di Firenze e la sezione ANA hanno invitato i sindaci dei 223 Comuni e i discendenti degli sfollati di allora, che, dopo la disfatta di Caporetto, nel ’17, con prefetti e uffici amministrativi furono trasferiti fino alla fine del conflitto dalla zona di guerra a Firenze, Fiesole e Sesto. Complessivamente, fu un esodo di 600.000 civili, che furono sparsi per tutto il territorio nazionale dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, in gran parte donne, bambini e anziani che affrontarono tre nemici che sembravano invincibili: la miseria, la paura, la fame.

Fuggivano dalle loro terre dopo la tragedia che era costata all’Esercito Italiano 11.000 morti, 19.000 feriti, 300.000 prigionieri, 400 mila fra sbandati e disertori, 3.200 cannoni, 1.700 bombarde, 3.000 mitragliatrici, 300 mila fucili.

Il programma prevede sabato 27 settembre alle ore 15.30 l’omaggio ai Caduti, al Famedio della Basilica di Santa Croce; alle 16 S. Messa in Basilica, alle 17 incontro (ad invito) del sindaco di Firenze nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio con autorità, amministrazioni comunali, ospiti e dirigenza nazionale dell’ANA; ore 21.30 concerto di cori nella Chiesa Museo di Orsanmichele e di fanfare in piazza della Repubblica.

Domenica 28 settembre alle ore 9 ammassamento tra piazza San Marco, piazza SS. Annunziata e strade adiacenti, ore 10 onori al Labaro dell’Associazione Nazionale Alpini e inizio sfilata per le vie: Cavour, Martelli, piazza San Giovanni, via Calzaiuoli e piazza della Signoria. Ore 12.30 13 fine sfilata e commiato dalle autorità. Le Sezioni e i Gruppi ANA che intendessero aderire e partecipare alla manifestazione sono invitati a darne comunicazione con il dovuto preavviso alla Sezione di Firenze anche per ottenere le necessarie autorizzazioni di accesso alla città con i pullman. Dette autorizzazioni (a pagamento), alle quali sarà applicato una particolare riduzione a seguito degli accordi presi con l’Amministrazione comunale, saranno rilasciate su richiesta dalla Sezione di Firenze, tel. 055/292641, fax 055/287341.

Storia di un esodo dimenticato

Come spesso accade, la ragion di Stato stende l’oblìo su vicende che secondo le intenzioni di chi manipola la storia aprirebbero armadi che sarebbe meglio lasciare ben chiusi. Così è avvenuto a lungo per la resistenza iniziata all’indomani dell’8 Settembre dai nostri militari, abbandonati dagli Alti Comandi in zone di guerra, che per difendere il proprio onore non esitarono a combattere e a morire, o a subire l’oltraggio della deportazione per restare fedeli al giuramento di fedeltà alla Patria.

La vicenda dei seicentomila esuli protagonisti, o meglio, vittime della più grande migrazione interna, non è sfuggita a questa regola e per ottant’anni è rimasta a livello di archivio, o quasi. Negli ultimi anni accurati e documentati studi sono avvenuti a cura di uno storico, Daniele Ceschin, e alcuni convegni sulla sorte di questi profughi veneti hanno dato dignità e memoria a una tragedia collettiva vissuta su un altro fronte, diverso da quello dei soldati, che ha visto combattere donne, vecchi e bambini contro fame, miseria sociale, umiliazioni, attenuate non di rado, dalla solidarietà di centinaia di famiglie che aprirono loro le porte di casa.

Sono i seicentomila diversamente da altri novecentomila che restarono subendo la drammatica occupazione austriaca, non priva di violenze che fuggirono dopo la rotta di Caporetto, lasciando la casa e ogni avere. Furono smistati in tutta Italia, soprattutto al Sud, in Sicilia, in Campania, in Puglia, in Toscana, mentre gli uomini combattevano. Erano dunque le donne la componente maggioritaria dei nuclei familiari, su di loro gravava il peso di una situazione spesso amara, vedove o prive di notizie del marito. Era stata tutta loro la decisione di abbandonare il paese, con i figli e i vecchi. Furono ospitati in istituti, in palestre, in ogni struttura anche se inadatta.

Neppure i bambini sfuggirono a lavori pesanti, nelle miniere di zolfo, nei cantieri. Il quindicinale sussidio governativo era insufficiente. Le giovani che andavano a servizio erano spesso vittime di vessazioni. La condizione di profugo, specialmente nelle zone rurali, era sinonimo di intruso da sfruttare. Nelle settimane convulse che seguirono Caporetto, con la prioritaria necessità di destinare ogni risorsa ad arginare il fronte sulla linea del Piave, quella dei profughi era una esigenza, tutto sommato, secondaria.

Furono i sindaci e i prefetti, che seguirono i profughi provenienti dalle province di Udine, Belluno, Treviso e Venezia prima a Milano o Bologna, e poi nei luoghi di destinazione, a prendersi direttamente in carico tanta gente. Firenze, che doveva essere una tappa intermedia, finì per ospitare la popolazione di ben 219 Comuni: 28 della provincia di Belluno, 14 di Treviso, 3 di Venezia e tutti i 178 comuni della provincia di Udine.

Gli sfollati di altri quattro comuni trovarono sistemazione a Sesto (909) e a Fiesole (816). Le testimonianze, i diari, le richieste di sussidio, perfino le denunce costituiscono un drammatico archivio storico di questo volto della Grande Guerra. Nell’ambito delle celebrazioni del 90º della fine della Grande Guerra, il presidente della Sezione di Firenze, Gian Carlo Romoli, si è trasformato in ricercatore e attraverso il bollettino ufficiale dell’Alto Commissariato per i profughi di guerra ha ricostruito la mappa dei luoghi in cui, fino alla primavera del 1919, furono ospitati 39.741 profughi.

Ci furono grandi momenti di solidarietà, centinaia di famiglie si presero carico di tanta povera gente, anche se alla fine del conflitto Firenze appariva stremata dalla fame. Il vostro cronista ha un ricordo personale: quello di nonna Gigia, che raccontava di essere stata a Firenze durante la guerra dopo Caporetto, partita da Sacile, dietro la linea del Piave, in piena ritirata del nostro esercito, e finita fra inimmaginabili peripezie a Firenze con i quattro figli, Amerigo, Giovanni, Irma ed Emma, mia madre.

Da bambino non capivo perché una donna che parlava solo il friulano fosse andata a Firenze, ora, grazie alla ricerca dell’amico Romoli, so essere stata per quasi un anno e mezzo in via Cavour 11, mentre nonno Bepi combatteva per arrivare fino a Vittorio Veneto. Allora non sapevo neanche cosa fossero il Grappa e l’Ortigara e di Vittorio Veneto sapevo soltanto che c’era il vescovo.

Però mi ricordo che nonno Bepi aveva la pensione per la medaglia di Bronzo e che aveva un braccio mutilato, trafitto al gomito da una baionetta austriaca (io ero addetto alla sua vestizione), e che qualche volta, di notte, ci svegliava gridando perché sognava di andare ancora all’assalto. Cari nonni, ricordi della mia infanzia, di dolci tramonti e quieti campi, di Stelutis alpinis e di Mi son alpin, me piase el vin. Non ho bisogno di anniversari per conservare la vostra memoria.

Giangaspare Basile

Pubblicato sul numero di settembre 2008 de L’Alpino.