Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Quella “buona ragione”

    Grazie al servizio militare sono riuscito a trovare la risposta ad una domanda fattami da una persona circa trent’anni fa. Giovane ufficiale di complemento, proveniente dalla SMALP di Aosta, mi aggiravo per la caserma “Verdone” a Varna, nei pressi di Bressanone. Ad un tratto sentii una voce che mi fermò: “Tenente, quanti anni ha?”, mi chiese il comandante del reparto logistico. “Ventitrè, signore!”, risposi. “Sarebbe in grado di dirmi qualche buona ragione per cui scegliere di fare l’allievo ufficiale? continuò il maggiore. Vorrei convincere mio figlio che ha la tua età a fare domanda per il prossimo corso AUC”. Rimasi in silenzio pochi istanti, ma sufficienti per farmi pensare a quante ragioni avrei potuto elencare per non fare non solo il corso allievi ufficiali, ma anche la naia. Questa mia pausa fece riprendere la parola al maggiore che proseguì: “Non si preoccupi di rispondermi subito, ci pensi pure con calma. Tuttavia mi faccia sapere qualche cosa in merito”. Ecco, sono passati quasi trent’anni da quella domanda e solo ora ho trovato la risposta. Se mai avrò modo di incontrare questo mio ex comandante che era a Varna tra il ’78 e il ’79, potrei affermare che la sua domanda non cadde nel vuoto, se è vero che ancora adesso me la ricordo. Sicuramente non saprò mai se suo figlio si iscrisse al corso AUC, ma adesso so che cosa rispondere. La naia aveva in sé tutte quelle caratteristiche educativo formative, forse un po’ esasperate e soprattutto concentrate in pochi mesi, che la vita propone quotidianamente ed inevitabilmente: quante volte abbiamo dovuto rispondere “signorsì”, magari “obtorto collo”, al nostro datore di lavoro o committente che sia?Quante volte sono stato sveglio “di guardia” per questa o quella preoccupazione?E la fatica “fisica” nell’affrontare quel determinato incarico lavorativo?Scegliere di fare l’alpino mi ha permesso di crescere, di essere in grado di prendere delle decisioni, di essere in grado di dare l’esempio.

    Pier Luigi Rossato Verona

    I reduci della Grande Guerra

    Ai piedi dell’imponente forte di Exilles, in occasione del 12° raduno della sezione Valsusa e del 41° incontro degli appartenenti al 3° Alpini ed alla 40ª batteria artiglieria da montagna, sono stati ricordati con una solenne Messa al campo gli alpini Caduti nelle due guerre mondiali, con un particolare cenno al glorioso battaglione Exilles. Erano presenti alcuni reduci; tra loro il decoratissimo e decano del gruppo maresciallo Giuseppe Rosatelli. Il sentimento di Patria, sempre vivo nel cuore degli alpini, ha richiamato un mare di gente. Centinaia di Penne Nere, ma tra esse, duole precisarlo, pochi giovani; e di questa mancanza ne conosciamo le motivazioni. Ciò che ha colpito di più è stata la presenza di alcuni cappelli deformati dalle intemperie in guerra e ormai sbiaditi dal tempo. Li portavano “veci” ritti e forti. Nei loro volti si notava la fierezza e la baldanza di un tempo. Formavano un gruppo piuttosto sparuto, ma compatto; i loro petti erano carichi di nastrini e di medaglie, tutte guadagnate in guerra. Non è la prima volta che assisto a questa cerimonia, e ogni anno il gruppetto di questi venerandi alpini diventa sempre più striminzito! Quanti ne saranno rimasti in tutta l’Italia?Forse un migliaio, poiché il più giovane di loro non può contar meno di 85 anni. Qualche decennio fa, il governo allora in carica si accorse che i pochi anziani reduci della prima guerra mondiale, a causa delle ben note beghe politiche che avevano interessato l’Italia dall’indomani della Grande Guerra, erano stati completamente dimenticati e, per scusarsi, li nominò ‘Cavalieri di Vittorio Veneto’. Non costò nulla, o quasi, all’erario, ma per quegli anziani fu una stupenda concessione, che per molti versi li ripagava degli stenti sofferti in guerra. Concludo chiedendo all’ANA, tramite il nostro giornale, di farsi promotrice affinchè il ministro della Difesa, Parisi, già allievo della Nunziatella, proponga al Capo dello Stato un’onorificenza da concedere a questo migliaio di anziani eroi. Al di là della buona volontà, non costerà nulla, a parte la spesa per un migliaio di pergamene.

    Col. Salvatore Parisi Torino

    Riflessioni su Va dove ti porta il cuore

    Ho letto più volte l’articolo in Zona Franca del numero di novembre scorso e mi vengono alcune considerazioni, non polemiche, ma che per me esprimono concetti molto importanti. La nostra è un’associazione basata prettamente sui valori, sulla Patria, sulla poesia, sul ricordo degli alpini che sono andati avanti in guerra ed in pace, sull’amicizia e sulla solidarietà. Tutto questo mi va bene e lotterò sempre perchè sia così, tutt’altra cosa è l’organizzazione, le regole e purtroppo la gerarchia. C’è uno statuto che vigila sulla sede nazionale, sulle sezioni e sui gruppi ed è stato accettato quando l’alpino si è iscritto come socio e ad esso deve fare riferimento, sempre!!!. Non si possono intraprendere azioni o comportamenti personali o di gruppo contrari o non conformi allo statuto, pena l’anarchia ed il naturale dissolvimento dell’associazione. Credo inoltre che chi ha dato la sua disponibilità a lavorare come presidente nazionale, sezionale o capogruppo abbia il dovere, oltre che di inculcare e mantenere vivi i valori di cui sopra, di vigilare ed operare perchè le regole vengano rispettate, di intervenire quando qualcuno esce dalle fila. Concludo asserendo che l’alpino è libero di sedersi dove vuole, purchè al ‘nostro tavolo’, ma la mia carica di presidente mi obbliga a ricordargli che nell’ANA esistono delle regole alle quali tutti devono attenersi, alpini, generali, presidenti e consiglieri. Viva l’ANA e viva gli alpini!

    G.Mario Gervasoni Presidente sezione ANA di Savona