Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    All’adunata con cappello e… pass

    Dopo Asiago ho sentito molte lamentele. Mi è stato detto che la scelta di Asiago è stata un errore ma l’adunata di Asiago non è stata un errore. È stata il frutto di una scelta naturale, almeno per chi è alpino nella mente e nel cuore. Ed è stata ben ponderata, trovando origine in un’idea del 1997. Il CDN stava discutendo sull’Adunata di Reggio Emilia quando il consigliere Alfredo Costa intervenne dicendo: Penso sia il caso di rivedere le nostre adunate andando a riflettere sui luoghi sacri, magari sull’Ortigara, con il nostro zaino, dormendo in terra. E dicendo chiaramente che ci ritiriamo a meditare sul nostro avvenire . In questo spirito è nata l’adunata di Asiago. Nell’idea di tornare sulle orme dei padri, rilanciata poi dal presidente Parazzini e realizzata con la presidenza Perona. Purtroppo vi sono stati disagi, a cominciare forse dalla decisione di anticipare la partenza della sfilata anzichè posticiparla. Il che avrebbe permesso a tanti alpini di non essere esclusi. Io ho avuto la fortuna di sfilare. Però, per me, l’Adunata è stata penosa sotto altri aspetti, con la conseguenza che mi è scappata la voglia di parteciparvi in futuro. Mi sono recato sull’Altipiano con lo spirito del pellegrino, per meditare. Invece mi sono trovato a coabitare con tanto rumore, maleducazione, sguaiatezza, mancanza di rispetto per i valori. Ancora una volta i trabiccoli hanno imperversato. Pensavo di girare per la cittadina cercando volti amici, osservando incontri festosi tra vecchi compagni di naia. Mi sono invece scoperto alla fiera. Accostatomi ad Asiago con l’idea di entrare in un Tempio, mi sono ritrovato attorniato da mercanti. Perchè tutte quelle bancarelle?È tollerabile che d’un colpo una quindicina di giovani possano comprarsi un cappello per poi indossarlo e andare in giro, spacciandosi per alpini offendendo e discreditando così gli alpini veri?L’Adunata si sta impoverendo perchè è troppo commercializzata, al punto che ho sentito proposte autorevoli di venderla alle città, come fosse una tappa ciclistica. Mi permetto tre suggerimenti: 1) Porre come condizione, per assegnare l’Adunata a una città, l’impegno del Comune a bloccare i trabiccoli e a non ammettere bancarelle non alimentari; 2) Invitare i gruppi che organizzano pullman ad escludere i notoriamente incivili; 3) Fare in modo che gli associati siano riconoscibili portando al collo la tessera associativa. Ottenuto ciò, potremo tornare a vivere l’Adunata con gioia. Per un banale incidente non ho potuto partecipare alla cerimonia più significativa dell’Adunata: quella sull’Ortigara, anche se il mio cuore era ugualmente presso la Colonna mozza. Ho avuto, però, la gioia di constatare l’onore alla Bandiera tributato dalla sezione di Asiago (su tutto l’Altipiano non ho visto casa, strada, campanile senza Tricolore) e di godere la veduta, dal Sacrario del Leiten durante la S. Messa, del fiume di penne nere nel Viale degli Eroi. Così, siccome nella memoria restano più facilmente le cose belle di quelle brutte, spero che l’attuale disillusione mi passi e che l’anno venturo mi torni la voglia di andare all’Adunata . E di cantare, anche se sono stonato.

    Sergio Bottinelli Luino (VA)

    Sull’adunata e la marcia Caltrano Asiago

    Abbiamo deciso di intraprendere il ‘viaggio’ a piedi da Caltrano fino ad Asiago prima di tutto per commemorare le migliaia di uomini che su questi monti sono caduti e hanno sacrificato le loro giovani vite. Un ricordo lo abbiamo rivolto anche al tenente Manuel Fiorito e al maresciallo Luca Polsinelli morti recentemente in Afghanistan. Può sembrare anacronistico, in una società impostata in senso utilitaristico come la nostra, mettersi in viaggio a piedi per perseguire un obiettivo quando il medesimo risultato lo si può raggiungere facilmente e senza fatica con altri mezzi. In questo caso la scelta non è stata casuale e per noi questa esperienza ha rappresentato un ennesimo banco di prova e allo stesso tempo una vigorosa riaffermazione di quei valori che hanno sempre sostenuto la nostra ‘alpinità . In montagna ha funzionato, funziona e sempre funzionerà così. Questa è la solidarietà; è in questa consapevolezza che nella fatica, nel dolore, siamo tutti uguali. E sapere che puoi contare su chi ti sta accanto ti da la spinta per superare la crisi. Purtroppo in una società competitiva come la nostra vengono continuamente espressi valori che sono opposti a questi. Noi non ci adatteremo facilmente ad una concezione dell’uomo inteso come ‘strumento’ piuttosto che come ‘fine’.

    Claudio di Pace Noventa Vicentina (VI) Capitano medico dell’artiglieria da montagna

    Ci voleva più rispetto

    Ad Asiago l’allegra riunione di sezioni e di gruppi ANA ormai composti da figli, nipoti e pronipoti della generazione che quassù ha vissuto in quell’inferno doveva o avrebbe dovuto essere caratterizzata da un pensoso raccoglimento, da un vero spirito di pellegrinaggio. Si sa, la vita ha i suoi diritti, ma ci sarebbe piaciuto non vedere almeno per una volta gli atteggiamenti goliardici, pietoso eufemismo, di alcuni giovani, le pose da vecio beone e scomposto, la circolazione dei trabiccoli sempre osteggiati ma sempre presenti. Se è vero che gli spiriti di quelli che quassù hanno chiuso gli occhi aleggiano ancora intorno a noi, forse sarebbe stato più opportuno pensare a loro che non a inalberare cappelli alpini deformati e carichi di patacche, a ostentare sporte colme di fiaschi e di vettovaglie da sagra paesana. E se la pioggia ci ha rovinato la gita , se l’ingorgo stradale ci ha costretti a scarpinare per sentieri scivolosi, quanti di noi hanno provato vergogna a paragonare il piccolo disagio di uno o due giorni a quegli interminabili mesi di trincea, di marciume, di freddo cui i nostri Padri furono esposti?

    Oreste Carosi