Rubrica aperta ai lettori.
Ogni comunità, ogni associazione, ogni nazione, ogni confederazione di Stati si identifica in qualche simbolo. Il simbolo con il quale il popolo italiano si identifica è la Bandiera tricolore: verde, bianco, rosso. Ci sono delle ricorrenze di carattere istituzionale (7 gennaio festa del Tricolore, 25 aprile anniversario della liberazione, 2 giugno festa della Repubblica, 4 novembre unità nazionale) nelle quali ognuno potrebbe, anzi dovrebbe esporlo al proprio balcone. L’adesione è scarsa, stentata, irrilevante. Anche le istituzioni spesso lo dimenticano o espongono svogliatamente bandiere logore e scolorite. Possibile che tutte le nazioni si identifichino in un vessillo, i cittadini ne vadano profondamente ed intimamente fieri, lo espongano con orgoglio ad ogni evenienza, mentre qui in Italia il nostro Tricolore sembra non essere amato? Il Presidente della Repubblica si è lodevolmente impegnato in tema di ripristino e devo dire che qualche risultato è stato raggiunto, ma siamo ancora lontani da una partecipazione collettiva. Purtroppo diversi partiti politici si sono appropriati del Tricolore e lo hanno riportato nei loro simboli. Ritengo si tratti di un abuso, e come tale andrebbe perseguito. Penso che la disaffezione degli italiani per il nostro vessillo sia dovuta anche a questa strumentalizzazione. Restituiamo il Tricolore agli italiani quale simbolo trasversale a qualsiasi ideologia politica. Solo in questo modo potremo riconoscerci sotto un’unica bandiera, perché il Tricolore è la bandiera di tutti gli italiani.
Gianni Longo Arese
Voglio condividere con voi e con gli alpini lettori della rivista una bella esperienza. Ho partecipato con il coro in cui canto alla commemorazione annuale degli alpini Caduti organizzata dal gruppo alpini di un paese vicino al mio. Noi abbiamo cantato Signore delle Cime e, finita la S. Messa, sono stati fatti i nomi dei Caduti delle due grandi guerre. Ad ogni nome seguiva un presente, pronunciato dagli alpini. Non esagero nel dire che mi si piegavano le gambe dall’emozione e pensavo: Grandioso, mai sentito niente del genere ed a fatica ho trattenuto le lacrime. In quel momento ho pensato che sono figlia e nipote di un alpino. Se riuscirò ad essere anch’io un alpino, potrò anch’io pronunciare quel Presente con fierezza, riacquisterò fiducia in me stessa e sarò al servizio degli altri e della mia Italia. Il mio primo presente! sarà davanti al mio amato nonno ed il mio primo saluto davanti a nostro Signore.
Francesca Subrizi
Una tesi di laurea nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Padova è stata discussa nello scorso mese di dicembre 2004. Laureanda Elena Berbellini, relatore il prof. Nicola Barbieri (ufficiale degli alpini in congedo). Titolo: ‘Aspetti educativi ed aspetti formativi dell'addestramento militare . La laureanda ha preso in esame il 117º corso della SMALP ad Aosta (1984 1985) ricostruito attraverso la rievocazione autobiografica dei partecipanti. (Ne abbiamo scritto anche nel numero de L’Alpino di aprile, n.d.r.). Data la mia lunga esperienza come docente all'Università credo di poter affermare che si tratta di un lavoro veramente nuovo nella impostazione; il rapporto su quella che definirei vita militare e successiva vita civile è qui affrontato in modo assai chiaro. Nella preparazione della tesi era stato inviato ai 135 ex allievi del corso un questionario di una ventina di domande: le risposte sono pervenute da parte di 40. La maggior parte di esse riguardava il corso di Aosta nei suoi vari aspetti: le risposte non sono state nè uniformi nè sempre positive. Semmai la uniformità è stata sulla durezza del corso stesso! Ma, per quel che concerne la novità cui accennavo, ecco una domanda quanto mai significativa: ‘Ripensando agli insegnamenti e alla formazione ricevuti, quali pensi siano state le acquisizioni più significative che ritieni abbiano caratterizzato anche il tuo inserimento nella vita civile, familiare, professionale, sociale in senso lato ‘?In generale i corsisti affermano che gli insegnamenti avuti hanno lasciato in loro il valore della disciplina, del coraggio, del sacrificio; il convincimento che ‘non si deve mollare mai’, l’onestà, la costanza in ogni impegno, la sicurezza interiore. C'è anche chi ha affermato che l'esperienza della SMALP gli è stata utile … nel mestiere di padre’, e nella ‘gestione della famiglia’. Complessivamente si può dire che in quel periodo di vita militare si sono forgiati non solo degli ufficiali ma soprattutto dei veri uomini, pronti a dare l'esempio, a saper ascoltare, a rispettare il valore della persona umana. Essendo stato anch'io allievo alla SMALP nel lontano 1941, mi sono ritrovato nel giudizio di durezza della Scuola. Anche se per noi, alla fine del corso, ci aspettava la guerra.
Francesco De Vivo Padova
Lasciatemi sbrigliare la fantasia: qualcuno potrebbe pensare di formare un Corpo degli alpini parallelo. Il compito di questi nuovi alpini sarebbe unicamente quello inerente alla Protezione civile e alla salvaguardia della natura, come: guardia parchi, guardia forestale, prevenzione frane, valanghe e incendi, controllo ghiacciai, difesa della flora e della fauna, soccorso alpino. Le armi in dotazione a questo nuovo Corpo sarebbero costituite dai macchinari e dalle attrezzature necessarie ai suoi interventi con una ferma simile a quella dei VFB 1. Il reclutamento avverrebbe nei distretti prettamente alpini, dove i giovani sono robusti, forti e già temprati alle fatiche della montagna. L’ho detto in premessa: quanto sopra non è altro che fantasia, dettata dall’angoscia di chi scrive; angoscia, del resto, che è comune a tutti gli alpini di fronte alla cruda realtà di essere inermi di fronte al progressivo ricondizionamento del più bel Corpo dell’Esercito. Eppure quest’idea non sarebbe da scartare. Anche perché una volta congedati, questi nuovi alpini conserverebbero il loro spirito di Corpo nell’ambito dell’ANA e, con i loro gruppi e sezioni, sarebbero sempre pronti ad intervenire là dove se ne verificasse la necessità.
Germano Affaticati