Vivere è cambiare

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    Cari amici, l’editoriale che state leggendo è l’ultimo che porta la mia firma come direttore de L’Alpino. Il numero di settembre avrà quella di Massimo Cortesi, giornalista di grande competenza professionale, al quale auguro grandi e gratificanti soddisfazioni. Sono passati dieci anni abbondanti da quando ho preso in mano il giornale. E dieci anni in via Marsala sono più che sufficienti per dare quello che uno può dare, di mente e di cuore. Ma se le radici affettive vanno per conto proprio, il tempo presenta il rischio di lasciarsi prendere dall’abitudine, quando la stanchezza e un po’ di pigrizia mentale tendono a incanalare nei binari del “si è sempre fatto così”.

    Mi consolano, nel momento del congedo, le parole del Presidente all’ultima Assemblea dei delegati, quando ha voluto precisare che “L’Alpino mantiene un alto indice di gradimento”. E le lettere che arrivano, e che solo in parte vengono pubblicate, ne sono la prova. C’è un motto che ho sempre coltivato nel mio percorso esistenziale. Lo pronunciò un vescovo anglicano, John Newman, nel momento di passare alla Chiesa cattolica, che poi lo proclamò santo: «Vivere è cambiare». È solo la fatica del partire di nuovo, che ci obbliga ad avere sguardo e cuore nuovi, per esplorare nuove opportunità. Voler rimanere ad oltranza, nelle certezze riposanti di un ruolo che diventa simile ad un nido, è cosa da ambiziosi, se non proprio da presuntuosi.

    Dieci anni di direzione sono stati una straordinaria cartina al tornasole, per cogliere i cambiamenti sociali, che a volte si sono insinuati anche tra di noi alpini. Tempi nei quali il liberalismo delle democrazie s’è pericolosamente trasformato in individualismo e dove i sani principi del rispetto dei diritti e dei valori fondanti una società sana, sono sfociati spesso nell’arrogante egemonia del politicamente corretto, che è salito in cattedra per dirci cosa pensare, dire e fare. Ecco perché quello che ci sta davanti è il tempo del coraggio, il coraggio di essere diversi, perché i tempi facili fanno gli uomini deboli e gli uomini deboli fanno i tempi difficili. Non ho ricette da dare, ma penso che una strada obbligata sia quella di rilanciare i rapporti umani, che talvolta sembrano sfilacciarsi anche tra noi.

    Ogni vera rivoluzione non parte mai dalle strutture, ma soltanto dagli uomini. Lo sappiamo bene guardando la vita dei nostri Gruppi. È quasi sempre dalla qualità morale del suo capo che ne discende la qualità e la vitalità del gruppo stesso. Lo affermo anche pensando alle tante persone di valore che ho incontrato e alle quali, in questo momento, sento il bisogno di esprimere riconoscenza. A cominciare da Corrado Perona, che mi ha voluto alla direzione e che mi ha sempre accompagnato con la stima e il calore umano della sua empatia. Poi, l’attuale Presidente Sebastiano Favero, che per lunghi anni mi ha confermato la sua fiducia. Infine, concedetemi un ricordo speciale e riconoscente per un consigliere “andato avanti” prematuramente: Salvatore Robustini. Lui, avvicinandosi la fine, mi ha concesso il privilegio di lasciarmi guardare dentro al suo animo e posso dirvi che ho provato lo stupore che si prova vedendo un uomo abitato da Dio.

    Ringrazio infine la mia redazione, con un abbraccio grato a Valeria. Un grazie a Giacomo Pellegrinelli, col quale è stato possibile, grazie alla sua competenza e generosità, dare vita al Telegiornale alpino, che sta incontrando grande consenso, e non solo tra gli alpini. A Matteo il grazie si fa riconoscenza per l’instancabile disponibilità e intelligenza, mentre quello a Mariolina è sconfinato. Provocando ma non troppo, mi sento di affermare che se fosse nata uomo, oggi sarebbe il più appassionato e competente alpino d’Italia. Come donna, però, potrà testimoniare quanto rispetto e stima gli alpini le abbiano riservato. A prova del loro amore riconoscente e a dispetto di quanto certa vulgata vorrebbe far credere sugli alpini e le donne.

    Bruno Fasani