Vicenza, Dobbiaco, Roma

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    Vicenza, Dobbiaco, Roma, un triangolo che racchiude una realtà esaltante e amara.
    Domenica 14 febbraio la città del Palladio appariva addobbata a festa, come se ci fosse l’adunata nazionale degli alpini: strade imbandierate, tricolori alle finestre, il centro storico senz’auto percorso da alpini, un’aria di festa e di gioia. Di lì a poco, nella splendida cornice di Piazza dei Signori, davanti a migliaia di persone che affollavano i portici e il colonnato dei palazzi, avrebbero prestato giuramento solenne trecento reclute alpine del 7º reggimento di Feltre e dell’8º reggimento di Cividale del Friuli.
    La città si stava stringendo attorno a questi giovani che avevano scelto di fare un anno di naja come volontari a ferma annuale. Il sindaco, nell’annunciare la concessione della cittadinanza onoraria al 7º reggimento, ha detto di aver voluto accanto, sul palco d’onore, sua madre: Mi ha insegnato cosa sono gli alpini ha detto i loro valori, il loro entusiasmo, il loro senso del dovere .
    Un tutt’uno con la gente di montagna, usa a incontrare lunghe file di alpini dal passo cadenzato, scandito dal rumore degli zoccoli dei muli sul sentiero .
    E Vicenza ha risposto e giurato con gli alpini, cantato l’Inno nazionale con loro ed è esplosa in un applauso nel quale c’era tutto l’amore per questi ragazzi che fino ad allora, seri e solenni, avevano appena fatto esplodere con l’entusiasmo gioioso dei vent’anni un solo grido: lo giuro! .
    Pochi, se non il loro comandante e, forse qualche familiare, sapevano che quelle reclute dell’8º avevano diritto a quegli applausi non solo per il loro impegno che si assumevano davanti alla Bandiera e al nostro loro Labaro coperto di medaglie d’Oro, ma anche perché dieci giorni prima a San Candido, in Alto Adige, avevano vinto ai Campionati invernali delle truppe alpine loro, reclute non ancora ufficialmente alpini la prova più difficile e ambita: la gara dei plotoni, una due giorni di marcia massacrante e notte all’addiaccio, con equipaggiamento completo sulle spalle, e prove tecniche e di resistenza che impegnano i migliori reparti di penne nere, suscitando l’ammirazione delle rappresentative militari Nato che si cimentavano nelle altre prove.
    Non vogliamo togliere nulla a nessuno, perché ben sappiamo che alpin fa grado , basta e avanza. Ma non possiamo non considerare che questi giovani hanno vinto non solo per la bravura dei loro istruttori ma anche perché sono giovani che in montagna c’erano stati prima di andare a fare il soldato, perché la montagna ce l’hanno nel loro imprinting. E hanno avuto quello spirito della cordata, quella capacità di soffrire, di sputare l’anima ma non cedere e arrivare. Lo hanno fatto da najoni, lo faranno anche nella vita.
    Ecco cosa fa di un giovane un alpino, diverso dal pur rispettabilissimo soldato di montagna .
    Quei giovani, quelle reclute VFA dell’8º ed, ovviamente, i VFA del glorioso 7º, hanno scelto di smentire quanti sostengono che la leva è un cuneo, un impiccio nella vita di un giovane, qualcosa da eliminare perché non serve.
    Quanto sono sembrati lontani dal cuore della gente coloro che hanno deciso di sospendere tutto questo, di privare i giovani della possibilità di maturare, diventare uomini, riscuotere rispetto e gratitudine. Di poter continuare per tutta la vita ad essere alpino . Sono gli stessi che lanciano allarmi sulla drammatica deriva che porta all’abbattimento dei valori in una società priva di punti di riferimento, gli stessi in buona ma spesso mala fede che hanno cercato il facile consenso e tornaconto a spese dell’Italia e del futuro comune.