Come ai bei tempi della naja ci ritroviamo all’alba a Verona con il vice Presidente Ana Cordiglia e i Consiglieri nazionali Macalli e Zanelli, destinazione Roma, dove ci congiungiamo al resto della delegazione formata dal Presidente Favero, dal vicario Buttigliero, dal Consigliere Barmasse, il revisore dei conti Ferretti e da Giampiero Gazzano.
Con noi viaggiano anche Marco De Vescovi e Rogato della Iot Viaggi che ha organizzato la spedizione. Prendiamo il volo per Tirana e in un’ora e mezza arriviamo all’aeroporto “Nenè Teresa” per sbarcare… in un altro mondo. All’arrivo troviamo ad accoglierci il col. Cornacchia, addetto militare dell’Ambasciata italiana, che porge il benvenuto e ci dà appuntamento per il sabato successivo: ci prende in consegna Bashkim Hyka che sarà la nostra guida per buona parte del viaggio.
Arriviamo a Tepeleni e ci accordiamo per incontrarci con il gruppo del Presidente della Sezione di Pordenone Ilario Merlin, sul posto da alcuni giorni con Guido Fulvio Aviani e il gen. Bruno Petti, già comandante delle Truppe Alpine. Questo gruppo di alpini da molti anni opera sul territorio albanese allo scopo di riconoscere i luoghi di inumazione dei nostri alpini e di altri soldati italiani rimasti senza degna sepoltura durante la Campagna di Grecia.
Aviani fa sfoggio di tutta la sua cultura militare raccontandoci delle operazioni sul Monte Golico e di come l’orografia assolutamente accidentata del territorio avesse condizionato il modo decisivo le operazioni. Ci spostiamo poi su di un ponte, il ponte di Dragoti, di costruzioni italiana, che fu teatro di violenti scontri con le truppe greche, schermaglie testimoniate dai fori di proiettile ancora visibili sull’impalcato. Il mattino dopo visitiamo il campo di battaglia a quota 731, detta anche quota Monastero perché su uno dei colli c’è una costruzione che serve da cimitero per dei “baba” musulmani; una carrareccia non segnata sulle carte ci porta al passo Kicoku, luoghi di feroci combattimenti.
Fa impressione come il campo di battaglia, a quasi 80 anni di distanza, sia ancora pieno di residuati e segni della battaglia, tanto che Cordiglia prende a calci quello che sembrava un sasso… e che in realtà era una granata italiana da 40 mm!
A quota Monastero troviamo un monumento eretto dai greci e i resti di quello costruito dagli italiani subito dopo la battaglia e fatto distruggere in seguito. È triste vedere come non ci sia nulla che ricorda il sacrificio dei nostri soldati che, stando a quanto ci dice Guido, in molti giacciono ancora senza degna sepoltura nei dintorni. Il mattino dopo una lunga escursione ci riporterà a Tirana passando per il Ponte di Perati.
L’unico fiorista è nei pressi del cimitero e vende fiori di plastica. Così ci arrangiamo “all’alpina” e una aiuola di Permeti che, tra l’altro, significa “città dei fiori”, improvvisamente si trova un po’ più spelacchiata… ma è per una buona causa! Risaliamo il corso della Vojussa tra strade strette e tortuose e panorami meravigliosi. Dopo aver superato un affluente della Vojussa in un tratto di strada diritto e senza nessuna indicazione il nostro veicolo si ferma. Siamo arrivati sul Ponte di Perati! O meglio su quel che ne resta con le spallette immerse in un mare di vegetazione.
Non una tabella, un riconoscimento, un parcheggio, niente di niente! Il Presidente Favero ci inquadra e rendiamo onore ai Caduti mentre il mazzolin di fiori vola nell’acqua della Vojussa. Buttigliero intona “Sul ponte di Perati, bandiera nera”. Non siamo un gran coro ma lo spirito è quello giusto e se siamo qui è perché è ferma la volontà di ricordare. L’Ana esiste anche per questo.
La sera siamo a Tirana e a cena con il col. Cornacchia e il Presidente Favero prende accordi in vista dell’incontro con le autorità albanesi per valutare la possibilità che delle squadre possano intervenire a recuperare i resti dei nostri soldati. Ma non solo, l’idea è quella di lasciare qualcosa di tangibile, un po’ come è stato fatto con l’Asilo Sorriso in Russia. Partiamo dall’Albania con la consapevolezza che lì ci sono tanti nostri “veci” dimenticati.
Noi abbiamo un dovere, quello, se possibile, di riportarli a casa, o perlomeno di dare loro degna sepoltura e di segnare nel tempo la loro storia. Ora la congiuntura politica sembra favorevole e, perdiana, lo faremo!
Roberto Genero