Valori e ideali comuni

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    “Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”. Così scriveva Mario Rigoni Stern in Sergente nella neve. Forse è stato questo libro, dalle cui pagine trasparivano ideali e valori in cui mi riconoscevo, che ha spinto i miei sogni di liceale ad entrare in Accademia per diventare un ufficiale degli alpini o, forse, sono stati i racconti di mio nonno, contadino piemontese, “ragazzo del ’99”, che la Prima guerra mondiale l’aveva fatta sul Piave ma da artigliere. Mi raccontava la guerra senza mai acrimonia, anzi con l’orgoglio misurato che è proprio della gente di campagna. Mi diceva che dei nostri parenti alpini non era tornato quasi nessuno e lo diceva con profonda ammirazione.

    Vorrei anche io, attraverso le pagine de L’Alpino, far arrivare ai numerosi lettori la mia ammirazione nei confronti delle penne nere e, più in generale, di tutti i militari che, compiendo il proprio dovere fino al più alto sacrifico, ci hanno donato un’Italia unita, un’Europa unita ed una pace duratura. Dobbiamo ripercorrere le tappe fondamentali del nostro passato per ricordarci da dove veniamo e per dare quindi maggiore valore agli anni di pace e benessere vissuti in Europa; per farlo possiamo partire proprio analizzando il contesto in cui sono nati gli alpini. Il Corpo degli alpini venne fondato nel 1872 per difendere i lunghi ed impervi confini del nuovo Regno d’Italia dalle minacce provenienti dalle due principali potenze militari europee: la Francia e l’Impero austro-ungarico.

    La Repubblica francese rispose creando gli Chasseur Alpin, l’Austria sviluppando i Kaiserjäger. Poi fu la volta della Germania con gli Alpenkorps, i Gebirgsjäger e numerosi altri Paesi seguirono questi esempi. La ratio era quella di disporre di forze addestrate ed equipaggiate per combattere e vincere in montagna contro altri eserciti europei. Paesi che condividevano tradizioni, storia e cultura si preparavano quindi per fronteggiarsi lungo i confini e lo hanno fatto, a più riprese, fino ai due sanguinosi conflitti mondiali. Non è bastata all’Europa la lezione della Grande Guerra.

    Mancò infatti nel primo dopoguerra la capacità delle nazioni belligeranti di intraprendere un percorso di vera pacificazione europea. Non si è saputo riconoscere i germi della nascita dei primi totalitarismi e dello scoppio di un nuovo conflitto di dimensione mondiale. Da questo ultimo, però l’Europa riuscì finalmente ad emergere in una nuova dimensione, prima economica e politica, che si è avviata, nel tempo, ad abbracciare anche quella della sicurezza e della cooperazione militare, componente quanto mai necessaria in momento di particolare incertezza per la sicurezza internazionale quale quello che stiamo vivendo. Da Presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea avverto con forza l’importanza di comunicare adeguatamente il senso di urgenza nel doverci dotare di uno strumento militare, non solo nazionale, ma anche europeo idoneo a rispondere alle moderne minacce consapevoli che nessun Paese è in grado, da solo, di garantire la propria sicurezza.

    Negli anni, militari europei appartenenti a Paesi una volta nemici tra loro si sono ritrovati poi uno a fianco all’altro dai Balcani all’Iraq, dall’Afghanistan ai teatri africani, operando in sinergia per un obiettivo comune: la sicurezza internazionale. Ho avuto l’onore e il privilegio nel corso della mia carriera di guidare in molte di queste operazioni militari di ogni forza armata, di ogni specialità e di diverse nazionalità. Donne e uomini meravigliosi, che meritano molto più di quanto ricevono e che fanno molto più di quanto il dovere richiederebbe. Ho apprezzato il loro senso di disciplina e del dovere, la loro generosità e la loro professionalità, valori che avevo trovato nelle pagine del Sergente nella neve, che avevo rivisto nei miei alpini e che in oltre 40 anni di servizio, ho riscontrato essere patrimonio comune delle Forze Armate.

    È il momento di far leva su questi valori comuni, di ricordare il sacrificio compiuto dai nostri alpini sul Grappa e sul Piave e dai militari europei sulle limitrofe cime per superare residui egoismi nazionali e comprendere che non esiste alternativa all’Unione Europea e a un’Unione Europea della Difesa, unica soluzione per affrontare al meglio le sfide alla sicurezza, coordinando sforzi, azioni e capacità e facendo sì che l’Ue possa agire davvero come un attore globale per la sicurezza e la stabilità.

    Generale Claudio Graziano
    Presidente del Comitato militare dell’Unione Europea