Insieme per fare Natale

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    L’aria tira fredda, s’incanala tra le vie che si affacciano su Piazza del Duomo; ci s’infagotta nelle sciarpe di lana, si alzano i baveri delle giacche, si affranca il cappello alla testa. L’inverno avvicina, è come se ritrovandosi ci si stringesse attorno a un fuoco e lì oltre al calore, si trovasse maggior conforto, un po’ di normalità, una pausa dalle preoccupazioni. Ed è proprio quando riusciamo ad essere noi stessi, senza nasconderci dietro a un ruolo, che ci sentiamo a casa, in famiglia.

    Una casa senza muri abitata da una famiglia allargata che parla molti dialetti, con uomini di tutte le età il cui spirito si rinfranca e si rinnova ad ogni incontro. «Siete qui per fare Natale» ha ricordato durante l’omelia monsignor Luca Raimondi, vicario del vescovo di Milano Mario Delpini. «Vi conosco bene, alpini. Ho partecipato con voi alla costituzione del Gruppo di Bernareggio, per questa ragione so quanto valore rappresenti il vostro essere parte di una comunità. Siete simbolo di fratellanza e solidarietà». Il Duomo di Milano ha accolto centinaia di alpini, come ogni anno a dicembre. Un momento che si ripete dal 1959 quando il tenente del 9º Peppino Prisco pensò che anche una città frenetica come Milano, dovesse fermarsi e ricordare tutti i Caduti e gli amici “andati avanti”.

    Per lui fu un bisogno, una necessità. Condivise l’idea con gli alpini milanesi, la vecchia guardia di via Magenta, e con i figli del suo battaglione L’Aquila, i fedeli montanari abruzzesi. Non ci volle molto perché quella prima chiamata in pochi anni giungesse fino alle valli più a nord. Naturale esserci. È un giorno che rimanda alla riflessione, dove forse più che in altri, si sente la mancanza di chi ci ha preceduto; sarà anche il Natale e la malinconia che lo accompagna. Vicini, attorno a quel fuoco siamo costretti a guardare la realtà e a ricordarci che un tempo tutto era diverso. Anche per il Coro Ana di Milano, che ha cantato durante la Messa, orfano del suo maestro Massimo Marchesotti, il Max, sue le parole dolcissime della Mezzanott de Natal che ha accompagnato i fedeli al termine della funzione: “andemm andemm a la grota de Betlemm su la paja l’è nassù bell’m un fiur bambin Gesù”.

    La Messa in Duomo è soprattutto un anticipo del Natale, è così che la pensò Prisco, la concepì ricordando l’inverno 1942 passato in Russia a fare la guerra: “quando ero al fronte, i miei, e soprattutto mio padre, mi scrivevano molto. Mio padre mi scriveva anche due volte al giorno. Conservo ancora quelle lettere, le ho lette e rilette decine di volte. Erano di enorme aiuto e conforto per me.

    Durante la Campagna di Russia non ricevetti, è naturale, che una parte di quell’epistolario, ma appena dopo il rientro in Patria, trovai ad attendermi, ben 102 lettere. Con me c’erano alcuni miei compagni, reduci della Russia, pure loro. Avevano una gran voglia di avere notizie di casa, una struggente nostalgia della famiglia, eppure, non so come, non trovarono alcuna lettera. Allora, io trovai estremamente naturale chiamare vicino a me i miei compagni e dire «ho qui tante lettere dei miei, venite, leggiamole insieme. Considerate mio padre e mia madre come genitori vostri. Sono sicuro che i vostri cari vi avrebbero scritto nella stessa misura. E così facemmo, leggemmo insieme, passandoci le lettere l’un l’altro, come bravi fratelli”.

    Con l’arrivo di dicembre il pensiero ritornava sempre a quei “gomitoli grigio-verdi rannicchiati ed infissi nella neve”, ai sopravvissuti e a quelli rimasti in Russia “il freddo, la neve, la stanchezza, le battaglie avevano lasciato sulla neve una lunga striscia nera che dai capisaldi del Don arrivava fin dopo Nikolajewka: erano i nostri compagni che non arrivarono a baita. Giuanin non c’era. Ci ritrovammo in pochi”. Fare Natale anche per loro, nel ricordo e nella preghiera. Prisco realizzò questo comune intento, una liturgia che volle condividere nella sua città con i suoi fratelli.

    “Il Bambino parlava a noi, si soffermava in silenzio e inatteso innanzi a loro, li attendeva per portarli con sé, nella notte di Natale. Noi superstiti restavamo sgomenti, quel mistero si esprimeva soltanto in dolore: sopra la neve, sotto la neve legava un’unica fraternità, una stessa sorte. Ma noi siamo tornati. Non c’è più Natale eguale a quell’ultimo nostro: ogni anno siamo là, su quella neve a chiamarli. Fratelli nostri, noi vi ricordiamo”.

    Mariolina Cattaneo