Un’amara polemica

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    Chiamato in causa mio malgrado e in maniera impropria, sono a chiederle lo spazio per replicare alla lettera di gennaio del signor Campigotto sui prigionieri italiani della Grande Guerra. Salto i preamboli e arrivo al dunque: non ho mai sostenuto che la responsabilità dell’elevata mortalità in prigionia sia da attribuirsi esclusivamente ai carcerieri. Non l’ho sostenuto perché non lo penso. Ho scritto, e ribadisco, che questa era la posizione condivisa in passato fino al libro della Procacci. Si tratta di un dato di fatto, non di un’opinione. Così come non ho mai obiettato sul fatto che le autorità italiane abbiano negato gli aiuti di stato ai prigionieri. Anzi, ho espressamente riconosciuto che la negazione venne giustificata appellandosi al rispetto della Convenzione dell’Aja. Anche qui, dati di fatto, non opinioni. Quel che contesto alla Procacci, alla quale ebbi modo a suo tempo di esporre di persona le mie posizioni, è il ribaltamento completo delle responsabilità: a suo dire, la colpa delle morti in prigionia è da imputarsi in via esclusiva alle autorità civili e militari italiane dell’epoca, assolvendo di fatto il comportamento dei carcerieri. In sostanza, mentre la Procacci attribuisce tutte le responsabilità alle autorità italiane, io sostengo che una mortalità tanto elevata tra i prigionieri di guerra italiana sia per lo più imputabile, o quantomeno sia stata ampiamente aggravata, dal trattamento sovente disumano e criminale tenuto da tedeschi e austro-ungarici nei confronti dei nostri prigionieri. È vero o falso che i prigionieri di guerra italiani vennero in larga misura ridotti in una condizione di schiavitù, sottoposti come furono a pesanti lavori coatti in condizioni disumane? Chiudo con un invito, valido sempre. Prima di accusare qualcuno di incompetenza, disonestà e malafede, come minimo sarebbe opportuno documentarsi spingendo le proprie letture oltre al libro oggetto della discussione.

    Pierluigi Scolè

    Scusandomi con Scolè per i tagli apportati al suo scritto (per ovvie ragioni di spazio) vorrei sperare di chiudere qui una polemica, cresciuta intorno a interpretazioni diverse di una triste pagina di storia, tanto più che gli approfondimenti non si escludono tra loro, ma vanno a disegnare un quadro i cui contorni sono molto precisi nella loro cruda realtà.