Una data da recuperare

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    Il cammino di un Paese è disseminato di date. Evocano momenti eroici, conquiste, tragedie. E poi ci sono le date che sembrano scritte a parte nel calendario della storia, scomode, ingombranti.
    L’8 settembre 1943 è una di queste.
    Quest’anno ricorre il 60º anniversario di quel giorno che ci riporta ad un momento drammatico della nostra Patria. Nonostante sia passato tempo sufficiente per lenire le ferite, attenuare i rancori e relegare le strumentalizzazioni nell’angolo del già visto e del già sentito, non pare che l’imperante storiografia del vincitore, in questo dopoguerra infinito, abbia finalmente intenzione di concedere dignità all’anniversario, e riconoscere nell’8 settembre 1943 anche l’avvio del secondo Risorgimento italiano.
    Per decenni, da intellettuali schierati e politici interessati, l’8 settembre è stato considerato un buco nero nel nostro cammino, un convitato di pietra, lo scheletro in un armadio da aprire a seconda delle esigenze del momento, ad uso personale o di partito.
    Finché il presidente della Repubblica Ciampi ha rimesso le cose a posto, e ripercorrendo le date del nostro Risorgimento e passando attraverso le due guerre mondiali è arrivato a Marzabotto, alla risiera di San Sabba, a Cefalonia. E ha indicato proprio nell’8 settembre 1943 non certo la morte della nostra Nazione ma il suo risveglio, il suo riscatto. Un riscatto tragicamente passato attraverso il sacrificio di migliaia di militari italiani che, pur abbandonati dagli alti comandi, lasciati senza direttive, lontani dalla Patria, decisero di difendere il proprio onore di soldato e quello dell’Italia anche a costo della vita, o di sopportare la deportazione e una sorte ignota pur di tener fede al giuramento di fedeltà prestato.
    Certo, l’8 settembre schiaccia a incancellabili, storiche responsabilità chi aprì le porte dell’Italia all’occupazione nazista, gettando le basi per la tragica guerra civile (perché tale fu, ed è così che gli storici la chiamano) che ne seguì.
    Ma la condanna per queste responsabilità e per gli orrori avvenuti non giustificano il lungo silenzio sul sacrificio di tanti militari, senza il quale avrebbero ben altro significato anche altre due date che siamo usi celebrare: il 25 Aprile e il 2 Giugno.
    È dunque tempo di rileggere tutte le pagine della storia senza saltarne alcuna, senza nostalgie ma anche senza tabù, e di considerare anche in maniera diversa un altro appuntamento: quello del 4 Novembre, giornata dedicata alle nostre Forze Armate. Le caserme saranno aperte e vi potranno entrare tutti i cittadini.
    Non dovrà essere soltanto curiosità o folclore, ma qualcosa di più profondo, pensando ai nostri soldati che si sacrificarono dopo l’8 settembre e a quelli che oggi sono impegnati in missioni di pace, in teatri sconvolti dalla guerra e che silenziosamente, umilmente, giorno dopo giorno continuano a onorare l’Italia.