Un sottile filo, lungo 60 anni

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    A Quota pisello un sacerdote ha celebrato Messa con uno zaino per altare, pane e vino: hanno pregato con gli alpini anche alcune donne che, nell’inverno del ’43, aiutarono i nostri soldati.

    DI GIAN PAOLO NICHELE


    Grande: questo è l’aggettivo più adeguato per sintetizzare la Russia, terra del pellegrinaggio a Rossosch per il decimo anniversario della costruzione dell’asilo Sorriso .
    La Russia è grande anzitutto per la sua storia, ricca di 1500 anni di tenacia ed orgoglio nazionale. Questo paese ha resistito alle orde mongole, a Napoleone e ad Hitler; ha fondato una città come San Pietroburgo là dove c’erano solo acquitrini e paludi. La Russia ha resistito a 90 anni di comunismo di Stato senza perdere la propria identità. Ora la storia e la cultura nazionali riemergono, in tutta la loro solennità, dall’oblio forzato dove erano stati forzatamente sepolti.
    La Russia è grande nelle contraddizioni, esasperate dal crollo del comunismo, ed è sempre più marcato il divario fra i ricchi la precedente nomenklatura che ha saputo e potuto approfittare delle privatizzazioni ed i poveri, che hanno visto sostituiti vecchi con nuovi padroni. Su tutto la nuova legge del libero mercato che sa essere severa con chi non può combattere.
    Ora il cittadino russo conosce libertà e democrazia, ma deve fare i conti con i costi economici e sociali che i due valori richiedono. Non è azzardato paragonare la Russia odierna all’Italia del primo dopoguerra, risvegliatasi violentemente da un sonno della ragione che ha causato i guasti tristemente noti.
    Ma la grandezza più evidente della Russia sta negli spazi immensi del territorio. Campi e boschi a perdita d’occhio per ore ed ore sono una costante fuori dalle città. Le strade dissestate congiungono i paesi con distanze inimmaginabili. Ovunque grano, fieno, mais, barbabietole, rape, patate. E poi tralicci per l’elettricità che farebbero impallidire il più tenero degli ambientalisti e le automobili, quasi tutte la versione sovietica della nostra mitica FIAT 124: auto logore, sporche, stracariche di gente e materiale, spesso ferme ai bordi delle strade con il cofano aperto per chissà quale guasto. La stessa ampiezza si trova nelle grandi città come Mosca e San Pietroburgo, dove gli spazi e gli edifici sottolineano il senso di grandezza. A Mosca vanno citati la torre televisiva alta quasi 600 metri, i sette grattacieli staliniani, l’hotel Rossija da 6.000 posti letto
    L’ultima grandezza della Russia è senza dubbio la fede. La religione ortodossa è assai tradizionale nella liturgia e mantiene un profumo di sacro e di mistero che noi abbiamo dimenticato. I pope barbuti, la preghiera attraverso l’icona, i ceri sempre accesi, il canto polifonico rigorosamente a cappella, la ricchezza sfolgorante delle chiese sono le diverse facce di una religione orgogliosamente chiusa ad ogni apertura verso il mondo e le sue regole.
    In questo scenario si innesta la cerimonia che l’Associazione Nazionale Alpini ha celebrato a Rossosch. Tutte le espressioni di saluto delle autorità russe hanno sottolineato l’assenza di odio verso gli italiani che combattevano una guerra di invasione nella quale non credevano. La popolazione dell’epoca avvertiva la differenza di comportamento fra i nostri soldati e gli altri invasori e non vi fu infatti mai livore verso i nostri. Si sprecano gli episodi di compassione che le contadine russe hanno avuto per i nostri ragazzi. Questo sottile filo rosso lungo 60 anni si ritrova in tutte le parole ufficiali, segno che il bene non viene dimenticato mai.
    Dopo la cerimonia molti hanno visitato i luoghi delle battaglie più tristemente famose. A Quota pisello un sacerdote ha improvvisato (se il termine è consentito) una messa con uno zaino per altare, un po’ d’acqua, vino e pane certamente russi e poco ufficiali in termini liturgici. Ma la fede supera ogni apparenza e lì dove troppi alpini hanno sacrificato la propria vita, si è consumato il sacrificio eucaristico per le loro giovani anime, per quelle dei loro nemici, per quelli tornati a casa con una ferita incancellabile nel cuore. I vessilli ed i gagliardetti hanno incorniciato la Preghiera dell’Alpino che ha suggellato la cerimonia tanto formalmente sobria quanto spiritualmente solenne.
    Due anziane signore che hanno partecipato alla messa sono state testimoni dell’inverno 1942 43 e, pur senza ricordare situazioni precise, avevano ben presenti quei soldati infagottati ed affamati che cercavano un po’ di calore. Le due anziane hanno pregato insieme agli alpini e certamente la differenza di lingua non diventa un problema in Cielo.
    Una tappa successiva è stata Nikolajewka, dove la Tridentina ha superato il famoso sottopassaggio ferroviario per aprirsi un varco verso il centro della cittadina e quindi la salvezza. I luoghi si riconoscono a fatica, un po’ con la testimonianza di chi dieci anni prima li visitò con il professor Morozov, un po’ grazie agli anziani che rammentano le battaglie e la torma disperata che invase la cittadina. Ritornano alla mente le pagine di Bedeschi, il famoso Tridentina avanti! di Reverberi, i ricordi personali di Caprioli e dei tanti reduci che ciascuno ha conosciuto. Chiudendo gli occhi un anonimo sottopassaggio si popola di rumori, immagini e dolore. Solo il silenzio riverente può dare un senso a tutto questo. Una preghiera mormorata offre le uniche parole per una tragedia troppo grande, troppo inutile, troppo folle.
    L’ultima tappa del pellegrinaggio è stata la visita alla zona nella quale si trovano le fosse comuni. Una piccola stele è tutto ciò che ricorda quel cimitero sterminato di senza nome. Ritornano nitide le immagini del Compagno don Camillo , in cui il nostrano sacerdote si ritrova in Russia e accompagna un comunista italiano a ritrovare il luogo dove il fratello era caduto pochi ani prima. Lo ritrovano vicino ad un albero al centro di un grande campo di frumento e le parole del fratello sopravvissuto sono esemplari: ma con tutto lo spazio che hanno, proprio qui dovevano venire a coltivare . La stessa domanda torna oggi, dopo alcune decine d’anni da quel film, i muri di Berlino abbattuti ed i vertici con pacche sulle spalle dei capi di governo italiano e russo. Sarà possibile esumare quelle salme, tentare di dar loro un nome o, almeno, rendere sacro quel luogo dove tanti nostri ragazzi sono sepolti?Forse non si riuscirà mai a dare un nome ed un volto a tutti ma non è giusto che al posto di una croce ci sia un campo arato. L’Associazione Nazionale Alpini farebbe la propria parte con entusiasmo e disponibilità, come al solito, ma occorrerebbe un impegno forte dei rispettivi governi. Il futuro è appoggiato saldamente sulla storia, piaccia o non piaccia.
    Anche qui una breve cerimonia, il raccoglimento, la Preghiera dell’Alpino e Signore delle cime. Bepi de Marzi sarà contento lo stesso, anche se gli alpini non hanno cantato le sue splendide Nikolajewka o L’ultima notte sono troppo difficili per chi improvvisa, anche se ci mette il cuore. Ma quelle note, e la preghiera, hanno suggellato due giorni di emozioni, storia e raccoglimento che hanno segnato per sempre coloro che vi hanno preso parte. E tu, madre di Dio, che hai conosciuto ogni sofferenza ed ogni sacrificio di tutti gli alpini Caduti .