Un portento d’alpinità

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    Una scommessa vinta. Così l’ha definita il presidente Favero, riferendosi all’impresa (perché tale resterà) compiuta dagli alpini, nel completare a tempo di record il nuovo Museo storico nazionale degli Alpini sul Doss Trento. Il 13 ottobre scorso sono accorsi in tantissimi, da ogni parte d’Italia, per festeggiare il completamento dei lavori di rifacimento di questo complesso museale che conserverà, nel proprio interno, la storia più che centenaria degli alpini, in armi ma anche di quelli in congedo. Frutto di una felice sinergia operativa – non certo priva di difficoltà organizzative – tra Ana (con a capofila la Sezione di Trento), Forze Armate, Provincia, Comune di Trento e Associazione Amici del Museo, la realizzazione di quest’opera è stata un vero e proprio banco di prova anche per altre opere di prossima realizzazione.

    Soprattutto è stata una battaglia contro il tempo, come si accennava poc’anzi. Di certo, quando venne posata la prima pietra della nuova struttura, durante l’Adunata nazionale a Trento del maggio 2018, la fiducia per l’obiettivo da raggiungere era molta; poi frustrata di lì a poco allorquando, nel luglio successivo, gli scavi di fondazione restituirono i resti di tredici sepolture di epoca longobarda, con i relativi corredi funebri, e un insediamento produttivo risalente addirittura al neolitico.

    Insomma ce n’era abbastanza per annichilire qualsiasi buona intenzione, dal momento che, giustamente, la Sovrintendenza provinciale diede immediatamente corso ad una campagna di scavi nel bel mezzo del cantiere, il cui termine a quel punto parve piuttosto difficile da pronosticare. Ma si sa, per gli alpini non esiste l’impossibile e, nel pieno rispetto di questo ormai consolidato “mantra alpino”, nessuno si è lasciato contaminare dal disfattismo, e anzi i lavori sono ripresi con maggior costanza e caparbietà, facendo si che la costruzione sorgesse tutt’attorno agli archeologi che, nel frattempo, continuavano il loro prezioso lavoro. Ma il tempo vola.

    Il 13 ottobre, data ormai fissata per l’inaugurazione è arrivata inesorabile. Solo poche ore prima del fatidico taglio del nastro, volontari e ditte specialistiche stavano ancora letteralmente facendo i salti mortali per poter presentare ad ospiti, autorità e stampa l’opera fatta e finita. E, come nei migliori film, tutto si è compiuto veramente al fotofinish. Ne valeva la pena? A guardare le facce degli sbalorditi ospiti potremmo ora dire di sì; pensare che, appena qualche settimana prima, il cantiere brulicava di ufficiali e tecnici civili e militari giunti per valutare lo stato dei lavori e pochi di loro, invero, credevano che i lavori sarebbero stati completati in tempo. Ma tant’è.

    Ancora una volta, come nelle migliori storie di altruismo dal sapore nostrano, il primo premio va certamente assegnato ai volontari, alpini e aggregati, che sono la vera anima e il motore che ha trainato l’opera verso il suo completamento. Che dire di Bruno, Dino, Remo o Rocco che hanno sacrificato ferie, famiglia e tempo libero, per essere negli ultimi tre mesi un tutt’uno con il cantiere? E che dire di Bepi che, a 88 anni suonati, ha sfidato le leggi degli uomini e della natura per tinteggiare pareti con la stessa energia di un giovanotto? Per lui “solamente” la moneta degli alpini: un pubblico ringraziamento durante la cerimonia di inaugurazione; per tutti noi, che lo abbiamo visto lavorare, un vero esempio di attaccamento e senso del dovere verso quest’opera che, forse (e concedetemi questa piccola critica), non tutti gli iscritti all’Ana hanno sentito alla stessa maniera, mancando purtroppo alla chiamata (divenuta nel tempo più un’invocazione di aiuto da parte della Sezione di Trento e del Presidente Favero).

    Un grazie quindi ancora più sentito a coloro che invece hanno creduto in questo progetto e che hanno reso questo cantiere veramente nazionale. Ora saranno necessari ancora un paio di mesi almeno per predisporre l’allestimento dei saloni, secondo le più moderne regole sull’esposizione museale, dove i sistemi audio-video ed i percorsi sensoriali avranno pari utilizzo con l’esposizione di cimeli e reperti. Il museo darà inoltre giustamente spazio anche alla storia locale: accanto agli alpini sarà allestito un settore dedicato ai ritrovamenti in loco di epoca neolitica e longobarda; una parte del pavimento è mancante, per lasciare così in vista il terreno di scavo archeologico.

    Un motivo in più per visitare questo museo, che non vuole essere solo degli alpini. Il nuovo edificio, realizzato secondo i canoni architettonici più moderni e con moduli di sicurezza all’avanguardia (progettisti alpini l’arch. Andrea Tomasi e l’ing. Gianfranco Canestrini di Trento), ingloba al suo interno l’antica sede museale, edificata ancora dagli austro- ungarici, ed appare dunque simile ad un antico tempio greco. Nell’ideale nàos (ove i greci conservavano l’immagine nascosta della divinità), il museo del Doss Trento conserva invece i nomi delle Medaglie d’Oro alpine scolpiti nel marmo bianco del Memoriale, sotto la volta dipinta negli anni Sessanta dall’alpino Paolo Caccia Dominioni, ingegnere, pittore e combattente di El Alamein. Ultimi fra tutti appaiono i nomi incisi del primo maresciallo Mauro Gigli, caduto in Afghanistan, e del serg. Andrea Adorno che ha voluto essere a Trento per l’inaugurazione del Museo.

    I volontari ci hanno raccontato che, quando erano stanchi per il troppo lavoro, venivano e sostavano un momento in questo luogo, tanto simbolico da divenire per loro motivo di appagamento morale e rinnovata vigoria fisica. Vogliamo dunque pensare che lo spirito e il ricordo di quanti ci hanno preceduti abbia accompagnato e vegliato quotidianamente il lavoro e l’impegno dei nostri volontari e di tutte le maestranze civili e militari impegnate sul Doss Trento. Qualcuno potrà non crederci, ma provate a chiederlo a Giovanni lo scalpellino: mentre lavorava da solo alle lapidi delle Medaglie d’Oro, l’abile artigiano ci ha detto di aver provato la sensazione che il Memoriale fosse affollato di alpini e la fotografia che lo ritrae al lavoro pare dargli in effetti ragione…

    Se dunque uno degli imperativi categorici e statutari dell’Ana è quello di fare memoria, con la realizzazione di questa magnifica opera abbiamo certamente tenuto fede agli impegni assunti. «Un impegno – come ha ribadito nel suo discorso il Presidente Favero – che vuole e deve avere un occhio di riguardo per le giovani generazioni, a cui questa nostra bella storia va raccontata».

    Paolo Frizzi