Un generale che vale uno spot civile

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    Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che a volte sembra sia cresciuto a pane e petardi, ultimamente ha trovato il modo di attaccare il generale Francesco Figliuolo, da qualche mese Commissario straordinario per le misure sanitarie contro la pandemia da Covid.

    Prima se l’è presa perché, a suo dire, Figliuolo non avrebbe dato alla sua Regione le dosi di vaccino che le spettavano, come se il Commissario fosse l’ingrato paron di AstraZeneca, libero di darne quante e a chi vuole. Poi, indossati i panni di uno stilista della moda, ha rincarato: «Mi permetto di consigliare al commissario di governo Figliuolo di andare in giro per l’Italia in abiti civili. Quando si hanno funzioni civili credo che sia inappropriato andare in giro in abiti militari, tuta mimetica, anfibi e capello militare, non solo per un’appropriatezza di funzioni, ma perché questo rischia di determinare problemi delicati, cioè questo comportamento rischia di scaricare sull’immagine delle Forze Armate la polemica politica, e questo è sbagliato».

    A replicargli a muso duro ci ha pensato Beppe Severgnini dalle pagine del più diffuso quotidiano nazionale. Se L’Italia ha dovuto consegnare il governo del Paese a uno che ha gestito le Banche in giro per il mondo, anziché a un politico, e l’organizzazione logistica della sanità a un militare, vuol dire che neppure la giacca e la cravatta bastano da sole a dare credito a certo politicume. È grazie a uomini come loro, a prescindere dalla divisa che indossano, se oggi il Financial Times considera l’Italia Paese leader per credibilità all’interno dell’Europa.

    Magari nel mondo la Campania è celebrata per la pizza, per l’incanto delle sue bellezze, la giovialità contagiosa dei napoletani o le note immarcescibili di ‘O sole mio, ma rimane ancora un enigma individuare se in questa credibilità abbia dei meriti un suo qualche governatore. Noi, della divisa del generale Figliuolo e del cappello che porta in testa, andiamo orgogliosamente fieri. E prima ancora del fatto che essi rimandano ad una storia piena di credibilità e di merito, soprattutto perché dimostrano la coerenza di un uomo che è pagato dallo Stato per indossare quella divisa. Che comandi le truppe o che vada a portare pace in Afghanistan, anziché garantire la vaccinazione agli italiani, dimostra d’essere uomo che non cambia casacca in base agli interessi da perseguire, dentro logiche di potere. Nessun gruppo Misto per lui, da occupare con i cambi di ruolo, ma la coerenza di un manovale dello Stato, pronto a portare mattoni perché la costruzione del Paese vada a compimento nel migliore dei modi.

    Ma c’è una seconda ragione che alimenta l’orgoglio per questo uomo in divisa e il suo cappello alpino. Ed è il fatto che anche i distratti si stanno accorgendo di quanto preziosa sia l’opera degli uomini in divisa. Tutti, non solo gli alpini o gli artiglieri da montagna. Tutti. Dai poliziotti ai carabinieri, dai marinai ai granatieri… Nessuno escluso. A qualcuno sembra che le divise diano fastidio. Ma credo, scomodando Jung, che si tratti del rifiuto di quella parte inconsapevole che qualcuno si porta dentro e che rifiuta contestandola negli altri. Piccoli e potenziali dittatori dell’animo, pronti a vedere ovunque dittatori nascosti in qualche divisa. Uomini come Francesco Figliuolo sono lo spot più convincente di quanto servire lo Stato dentro una divisa sia uno dei servizi più nobili e socialmente educativi.

    Sta qui la ragione per cui, da tempo l’Ana, interpretando il sentire di tantissimi italiani, propone il ripristino di un servizio obbligatorio, militare o civile che sia, per tutti i giovani. Per aiutarli a diventare adulti, prima ancora che per ragioni di tornaconto associativi. Per il loro bene e quello della società in cui vivono. Se poi sopra il capo avessero anche la fortuna di indossare un cappello alpino, tutto questo li porterebbe anche a godere di un grande credito di stima da parte della gente. Stima non di oggi e di sicuro fondamento.

    Bruno Fasani