Un episodio doloroso

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    Della rivista L’Alpino, che ricevo ormai da 51 anni, approvo quasi tutto e non sono avaro di complimenti. Per questo motivo sono molto addolorato della lettera del numero di gennaio, “La conquista del Sass de Stria”. Nel corso del racconto si legge: “…in un frangente assistetti ad una fucilata mortale, per vendetta, di un soldato contro il proprio tenente”. Dopo tanti anni vorrei chiedere scusa per la leggerezza emozionale, forse dei vent’anni, vissuta nei confronti dell’alpino che combattendo (..!) ma salvandosi, mi ha donato la vita. La narrazione non è molto chiara e si presta alla peggiore interpretazione “sono vivo perché qualcuno ha sparato al tenente”, così salvando il padre dell’autore della lettera. Dopo tanto buon senso si omologa la ferocia della guerra. Nel commento oltretutto, lei si spinge oltre e avvalora tutto l’episodio qualificando il genitore: “È un pedagogo che vuole insegnare a chi verrà dopo di lui il mistero della vita, con la sua luce e le sue tenebre”. Una tesi francamente inaccettabile e insostenibile che richiederebbe quanto meno un chiarimento. Episodi di questo tipo sono stati numerosi e chi ha una certa età (come il sottoscritto) li ha sentiti raccontare “sotto voce” da chi ha partecipato alle due guerre.

    Giorgio Fontana, Sezione di Milano

    Eh no caro Giorgio. Io indicavo la luna, ma tu hai guardato il dito. La lettera raccontava di un papà che, prima di morire si fa portare sui luoghi che lo hanno visto protagonista della guerra. E rievoca un episodio doloroso al quale lui non ha avuto il coraggio di ribellarsi per lo scombussolamento emotivo che lo ha travolto quando si è verificato. Quasi un chiedere scusa a se stesso e al figlio per non aver avuto la sufficiente lucidità di ribellarsi al male, benché quell’episodio si fosse rivelato provvidenziale per la salvezza della propria vita. E questo doloroso esame di coscienza, imbastito dentro la memoria, ti sembra una omologazione della ferocia?