Ultimo giuramento

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    Lo giurate voi?
    La voce perentoria del colonnello Maggian diffonde in piazza dei Signori a Vicenza l’invito ai ragazzi del 7º Feltre di giurare fedeltà alla Patria. E’ l’ultima cerimonia solenne cui partecipano soldati, famigliari e società civile. La cartolina di precetto va in pensione e la divisa sarà indossata per scelta. Fare il soldato sarà una professione, non un dovere.
    Il fascino di una delle più belle piazze d’Italia che porta i segni di una raffinata tradizione culturale ed artistica, sottolineata dalle eleganti linee architettoniche del Palladio riconosciute dall’Unesco patrimonio dell’ umanità, attenua e per certi versi nobilita un avvenimento che non è solo un rito, ma un momento storico, la fine di un’epoca.
    I reparti sono schierati in modo impeccabile, i comandanti danno come sempre gli ordini con tutto il fiato che hanno in corpo, la Bandiera di Guerra entra nell’area della cerimonia tra gli applausi di una folla entusiasta, onorata da decine di vessilli, centinaia di gagliardetti, gonfaloni, labari, bandiere e salutata da tutte le autorità civili della città, della provincia, della regione oltre al comandante delle Truppe alpine ten. gen. Bruno Iob. Pochi ufficiali superiori, nessun politico.
    Non è possibile capire se a questo giuramento si è dato volutamente il profilo basso della routine, per dare la sensazione che nulla è cambiato. Per noi sta cambiando tutto.
    Quando gli ottoni della fanfara della Julia fanno echeggiare il ’33’ è impossibile sottrarsi al pensiero dei battaglioni Vicenza, Monte Berico, Val Leogra, Bassano, Sette Comuni, che hanno difeso con disperato coraggio la loro pianura contro le armate di Von Conrad, con ragazzi dal volto quasi adolescenziale come quelli che osserviamo ritti davanti alle tribune. E quasi sempre alla testa dei plotoni e delle compagnie c’erano ufficiali di complemento, oggi assenti: non hanno sfigurato come comandanti e come uomini. Storia passata. Come l’Albania, il Montenegro, la Russia.
    Siamo in un contesto politico completamente diverso. I conflitti, come la peste, scoppiano nelle aree geografiche più diseredate, ma potenzialmente ricche di risorse e quindi strategicamente importanti. Sono richiesti mezzi ingenti, armi intelligenti, personale professionalmente preparato. Tutto vero, con qualche riserva: l’uomo.
    Uno dei vanti del nostro esercito, da sempre, è di essersi distinto anche tra gli orrori della guerra, che sempre violenza è, per la sua sensibilità umana e anche oggi i nostri ragazzi, senza nulla togliere al loro coraggio e alla loro bravura nell’uso delle armi, sono ovunque apprezzati per la capacità di operare non contro, ma per la gente che vanno ad aiutare. Le armi non sono mai intelligenti, non possono che essere stupide, sia che riducano ad un cumulo di macerie Coventry o Cassino, sia che colpiscano al millimetro un obiettivo mobile.
    E’ l’uomo con la sua volontà di garantire un equilibrato sviluppo del mondo che può costruire i presupposti per la sicurezza e la pace, non l’armamento ipertecnologico o il calcolo delle convenienze. Economiche e politiche.
    Gli alpini, che si portano addosso ancora l’odore del mulo, credono nell’uomo, nei suoi valori fondamentali e nella necessità della sua compartecipazione alla crescita della società. Fare dell’Esercito un mero strumento di politica estera ci lascia dubbiosi. E’ qui che nasce la tristezza, in un giorno splendido come quello di Vicenza. Non avremo più in una piazza gremita di gente, autorità che hanno imparato ad amare gli alpini dai racconti della madre, come ha riconosciuto il sindaco di Vicenza o che affermano, come la presidente della Provincia: gli alpini siamo noi.
    Non ci sarà più un punto di saldatura forte tra la società civile e le forze armate. Ci sarà qualcos’altro. Questo ci preoccupa.
    Non vorremmo che le manifestazioni d’italianità si riducessero a qualche stanca e semideserta cerimonia davanti ai sacrari militari nelle ricorrenze comandate o, peggio, in occasione di fatti come quello di Nassiriya. Fratelli d’Italia è l’inno di tutti, dei ventenni in tuta mimetica e dei cittadini che sentono l’appartenenza al Paese e alla sua storia. Se poi, alla fine della cerimonia, quei ragazzi smettono il comportamento marziale e corrono a tuffarsi tra le braccia della mamma, liberandosi maldestramente del fucile mitragliatore, diciamo loro grazie.
    Anche i nostri veci partivano per il fronte con il groppo in gola; non hanno mancato di compiere il loro dovere.


    Vittorio Brunello