Trieste, un sogno…

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    DI GIANGASPARE BASILE

    Trieste è un sogno. È l’immagine che si forma nella nostra memoria pensando ai palazzi bianchi di questa città imperiale fra i quali il passato è ancora tanto incombente e ci ricorda le amare scansioni del nostro Risorgimento. Una città distesa lungo un anfiteatro aperto sul mare e nella quale tutto, dai luoghi alla sua gente, testimonia le tormentate tappe della nostra unità nazionale. Un Risorgimento che qui ha avuto drammaticamente l’orologio puntato all’indietro, che ha chiesto altri sacrifici. E s’è dovuto attendere altri lunghi e tragici anni per chiudere i conti con la storia.

    Quando venerdì sera, nello scenario irreale d’un tramonto d’oro, è arrivata la motovedetta della Marina, coronata dai semicerchi dei getti d’acqua d’un rimorchiatore e scortata dalle motovedette dei carabinieri, della guardia di finanza, e della guardia costiera, ed ha attraccato al molo portando la Bandiera di Guerra dell’8° reggimento Alpini, sembrava che il tempo si fosse fermato al 1918. Ma è stato, un momento. I figli degli ultimi combattenti hanno costruito un’Italia diversa, un’Europa diversa ed ora quel mare unisce, e non divide più. La Bandiera, simbolo d’un Risorgimento finalmente compiuto cinquant’anni fa con il ritorno di Trieste all’Italia, è stata accolta con tutti gli onori nella piazza che miglior nome non potrebbe avere: piazza Unità d’Italia.

    C’erano un battaglione d’alpini in armi, la fanfara della Julia, il Labaro con il presidente Parazzini e il generale Bruno Iob e tutto il Consiglio direttivo nazionale, il sindaco Roberto Dipiazza con l’assessore Fulvio Sluga (che è stato particolarmente vicino alla sezione, impegnandosi per oltre un anno nei preparativi dell’Adunata). E, ancora, il prefetto Goffredo Sottile, il presidente della Regione Riccardo Illy, quello della Provincia Fabio Scoccimarro, tante altre autorità e soprattutto c’erano migliaia di alpini e di triestini assiepati dietro le transenne a far da corona alla Bandiera che sembrava spuntata dal mare nella controluce del tramonto, fra i due grandi pennoni sui quali sventolavano due enormi bandiere: quella della città con la sua bella alabarda d’argento in campo rosso e il Tricolore.

    È stato il momento solenne che ha segnatol’inizio ufficiale dell’adunatadegli alpini. Ma forse, il momento piùintenso dell’abbraccio a Trieste è stato quello del sabato sera, quando piazza Unità d’Italia era gremita come se tutti si fossero dati appuntamento sul luogo simbolo della storia d’Italia, per poter dire: io c’ero; e poi percorrere, come in un pellegrinaggio, quel lembo sospeso sul mare cheè il molo Audace dove arrivò, nel 1918, il Tricolore. La mattinata del sabato era stata dedicata al ricordo. Trieste conserva la memoria del Carso e dei nostri padri che vi combatterono una guerra durissima e trasformarono quelle aspre doline in un sacrario all’aperto. Sembrava che finita la grande mattanza della Grande Guerra l’Italia potesse vivere in pace.

    Invece ci fu una seconda guerra, per molti versi ancora più crudele perché fu teatro di atrocità alle quali non sfuggirono – oltre che i soldati – anche migliaia di civili la cui colpa era di essere italiani: la foiba di Basovizza e la risiera di San Sabba sono luoghi tristemente passati alla storia, che hanno lasciato ferite ancora aperte. Su questi luoghi il nostro presidente ha deposto corone “per non dimenticare”, e altre corone al colle di San Giusto, simbolo della città e del suo martirio, e al monumento alla Penna dedicato a tutti i Caduti alpini. Più tardi, l’abbraccio con gli alpini delle sezioni all’estero, quegli alpini che tengono viva la fiamma della nostra Italia in tutto il mondo. La sera, dopo l’arrivo del Labaro in piazza Unità d’Italia e della bandiera di Guerra, è stata lunga: le migliaia di alpini sono sciamati dappertutto continuando la festa conclusa con un meraviglioso spettacolo pirotecnico visto per decine di chilometri lungo tutta la costa.


    Domenica mattina è iniziata quasi in sordina; poi man mano che passavano i minuti le tribune allestite lungo il percorso della sfilata sono state occupate da migliaia di triestini, di alpini e di familiari e amici degli alpini. Le note del “33” – suonate dalla Fanfara della Julia, che con la fanfara della brigata alpina Taurinense ha scandito la marcia degli alpini – hanno segnato l’inizio del momento più atteso: la sfilata. Un fiume di penne nere che per quasi undici ore ha percorso le strade fra due ali di folla. Triesteè stata speciale anche nella sfilata, perché ai tre speaker ufficiali, gli avvocati alpini Guido Alleva, Manuel Principi e Nicola Stefani che con i loro dossier storici sono indispensabili al… racconto della sfilata, quest’anno si sono aggiunti Enzo Driussi, Guido Aviani Fulvio e Francesco Brighenti, i quali hanno commentato il passaggio degli alpini alle migliaia di persone che avevano preso posto sulle tribune allestite a metà percorso.

    Gli speaker hanno anche letto i messaggi di saluto inviati da Ciampi, dal presidente del Senato Pera, da quello della Camera Casini e dal ministrro della Difesa Martino. Sulla tribuna d’onore, con Parazzini, c’erano il ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, il sottosegretario alla Difesa Filippo Berselli e il sottosegretario agli Esteri Roberto Antonione, il capo di Stato Maggiore dell’Esercito generale Giulio Fraticelli. A metà mattina è giunto anche il vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini, accompagnato dal capo di Stato Maggiore della Difesa ammiraglio Giampaolo Di Paola. Quando è passata, con alla testa il direttore prof. Lucio Losapio, una rappresentanza dell’ospedale da campo (un vero gioiello nella struttura di protezione civile ANA, unico in Italia) per qualche minuto la sfilata si è fermata.

    Fini è sceso dalla tribuna d’onore accompagnato dal sottosegretario Berselli e dal nostro segretario nazionale gen. Silverio Vecchio (li vediamo nella foto di copertina) ed ha appuntato al Labaro la medaglia d’Argento al Merito Civile conferita dal Capo dello Stato all’ospedale per i numerosi interventi effettuati in occasioni di grandi emergenze, come il terremoto in Umbria e l’operazione Arcobaleno a Valona, in Albania. Un riconoscimento che premia tanti sacrifici e l’altissima professionalità raggiunta non solo dal personale ospedaliero ma da tutta la nostra protezione civile. Poi la sfilata è ripresa, fra passaggi di bande e alpini, tanto colore. Una nota particolare è stata data dalla Musikkapelle di Marlengo (Bolzano) nei magnifici costumi tirolesi, lungamente applaudita.

    Suoni e commozione nello sfilare davanti al Labaro e rendergli onore. Commozione anche sulla tribuna d’onore, dove Beppe Parazzini non ha la sciato mai il suo posto, non volendo trascurare di salutare – al termine del suo mandato e alla sua ultima adunata da presidente – nessun “naione”. E così pure il sottosegretario Giovanardi, impegnato in una goliardica “gara di resistenza” con Parazzini. Commozione al passaggio degli alpini di Pola, Fiume e Zara, ai quali l’Europa allargata non potrà mai lenire le ferite ancora aperte. Curiosità e allegria al passaggio dei muli del gruppo di Cappella Maggiore, grande entusiasmo per le formazioni di volontari della nostra protezione civile. E così è stato mentre gli speaker commentavano il passaggio dei vari blocchi coi
    nvolgendo il pubblico in questo grande spettacolo che è la sfilata. Grande spettacolo ma anche una grande testimonianza di valori e di fedeltà alla Patria, di civiltà.

    E dopo undici ore, quando – ultima, com’è tradizione – ha sfilato la sezione ospitante, quella di Trieste, lungo tutto il percorso c’è stata un’ovazione. Quegli applausi, quei fiori lanciati al loro passaggio, sono stati il riconoscimento alle fatiche degli alpini triestini, del presidente Gianpiero Chiapolino e dei suoi collaboratori, nessuno escluso. Applausi destinati anche a tutti coloro che hanno reso possibile l’Adunata e hanno lavorato tanti mesi perché tutto si svolgesse nel migliore dei modi: la “macchina” comunale, con il sindaco e in particolare l’assessore Fulvio Sluga, grande amico degli alpini, il presidente della Provincia, il prefetto e il questore. E poi, bravi e pazienti, vigili urbani, agenti della polizia di Stato e carabinieri del comando provinciale del col. Piero Pedrazzi.

    Tutti si sono prodigati, compreso un caro amico che è stato per alcuni anni aiutante di campo del comandante delle Truppe alpine, il colonnello Gesildo Tarquini, che ora comanda il Piemonte Cavalleria a Villa Opicina, e che ha ospitato nella sua caserma oltre a cinquecento alpini anche alcuni gruppi della Valcamonica con la fanfara e il coro di Darfo, nonché qualche aggregato dell’ultima ora che non avrebbe avuto la possibilità di alloggiare altrove. Tarquini ha messo anche a disposizione indispensabili supporti per il trasporto dei muli, che per gli alpini – diciamolo – non sono certo meno nobili dei pur nobili cavalli. L’adunata è anche questo: una grande disponibilità verso gli alpini, per accoglierli con simpatia e amicizia.

    Era ormai pomeriggio inoltrato quando, dopo quelli di Trieste, hanno chiuso la sfilata gli alpini del servizio d’ordine nazionale, a prendersi il loro “ bravi!” come premio della loro lunga fatica, e infine le 132 bandiere – tanti sono gli anni del Corpo degli Alpini – portate da alpini in congedo e alpini in armi. Era finita, ma la gente è rimasta sulle tribune e ai lati della strada, come se non volesse proprio andar via. Ha applaudito ancora il Labaro che, scortato dal presidente Parazzini, Giovanardi, il CDN, il generale Iob, il prefetto, il generale Fraticelli e il sindaco, ha raggiunto piazza Unità d’Italia, dove si è svolta la cerimonia del saluto al Gonfalone della città di Trieste decorato di Medaglia d’Oro. E poi, ultimo atto, l’ammainabandiera. La campana della torre scandiva rintocchi argentini; Trieste regalava nuvole d’oro mentre il sole si tuffava nel mare.