Tornare al Contrin

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    Perché saliamo tutti gli anni al Contrin? Un interrogativo al quale le oltre 2mila penne nere giunte ai piedi della Marmolada e del Gran Vernel domenica 26 giugno scorso, hanno cercato di dare risposta, in un tripudio di sole, prati verdi e cime vertiginose, dove il paesaggio è così perfettamente bello che pare uscito dai quadri del pittore Segantini. Perché tornare proprio sulle tracce di quel capitano Arturo Andreoletti, padre storico dell’Ana e faber fortunae della storia del Contrin, ma che prima di ricostruirlo da socio Ana, quello stesso edificio lo vide distrutto proprio dai suoi cannoni che spararono nel settembre del 1915 contro quei muri in pietra eretti dall’Alpenverein di Norimberga a fine Ottocento?

    La risposta era lì, scritta su quei volti di alpini e di tanti, tantissimi amici e parenti che da oltre 39 anni tornano con la bella stagione in mezzo a quella conca erbosa, ripercorrendo quegli stessi sentieri fra boschi e torrente che prima di loro i padri, e prima dei padri i loro nonni, hanno percorso con lo stesso senso di appartenenza e di orgoglio. Al Contrin gli alpini ci tornano ogni anno perché qui finalmente possono riassaporare, nel senso più vero, l’essenza dell’alpinità e del sentirsi a casa propria. Al Contrin ci si torna anno dopo anno, estate dopo estate, per ricaricare le pile del volontariato che poi spendiamo, senza prezzo, in favore delle nostre comunità.

    Al Contrin sostano gli alpini: per mettersi in ascolto di quelle voci che dal passato ci urlano: “Alpino… mola mìa, alpin tegni dur, alpino statte accorte!” perché il tempo passa, il mondo cambia molto in fretta, e a volte non ce ne siamo accorti. I 191 gagliardetti e i 33 vessilli schierati nella piana del Contrin hanno rappresentato dunque, per un momento ideale, tutti gli alpini d’Italia, e la loro storia riunita in uno con gli onori al Labaro che, scortato per l’occasione dal vessillo di Trento, ha dato significato alla solennità tributata all’evento. In questa stessa magica atmosfera, in quelle stesse stanze un tempo occupate da Andreoletti, da Larcher, da Bertagnolli, e tanti altri personaggi e rese storiche dagli affreschi del pittore Novello, solo poche ore prima il Consiglio Direttivo nazionale è stato tenuto – per così dire – a battesimo nella sua nuova composizione per il prossimo triennio, con i rinnovati incarichi di governo associativo resi ora noti dal Presidente Favero dopo l’Assemblea dei delegati a Piacenza.

    Sia dunque di buon augurio questa sorta di ripartenza proprio dal Contrin, questo complesso rifugistico che prosaicamente durante l’Adunata del 1921 venne definita “Alpinopoli, la città degli alpini” e che Andreoletti battezzò “la Casa degli alpini”, come riporta o scudetto verde sul muro del rifugio. Ed è ancora così, ogni alpino qui al Contrin si sente certamente come a casa propria. Nel suo intervento, il Presidente Favero ha voluto rimarcare, se ancora vi fosse qualche dubbio, che gli alpini sono e restano gli uomini del fare: «A quanti ci insultano e ci denigrano ingiustamente, proprio qui dal Contrin voglio loro ribadire un concetto: gli alpini restano uomini di buona volontà, e saranno sempre pronti a dare aiuto a chi ne ha bisogno!». Insomma: noi al Contrin ci torniamo sempre volentieri, e tu? Ti aspettiamo per il quarantesimo!

    Paolo Frizzi