Testimoni d’amore

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    A Leonessa in provincia di Rieti erano le 14.30 del 7 aprile 1944 quando don Concezio Chiaretti, cappellano militare della Julia in licenza per malattia, stava celebrando la Messa all’altare dell’Addolorata nella chiesa di Santa Maria del popolo, assistito da suo nipote Giuseppe chierichetto. La madre del sacerdote, viste le rappresaglie nazi-fasciste in atto da giorni nell’intero territorio leonessano, fomentate da una donna assetata di vendetta e condotte dalle truppe nazi-fasciste e saputo che lo stavano braccando si recò nella chiesa urlando: “Fiju, scappa! Te vau cerchénno li tedeschi!”. Il sacerdote restò impietrito, ma rimase all’altare continuando la celebrazione, con sua madre piangente e il nipote undicenne. Quasi subito entrarono i soldati delle SS e lo arrestarono portandolo nella piazza del paese con altre 22 persone. Poi tutti furono condotti fuori delle mura di cinta su una piccola altura, disposti in fila per essere fucilati. Don Concezio recitò per tutti la formula dell’assoluzione tracciando il segno di croce e dicendo ai carnefici: “Vi perdono in nome di Cristo, di cui oggi ricordiamo la passione e morte. Dio abbia misericordia di voi e pietà di noi”. Furono trucidati a colpi di mitraglia e morirono sul “Golgota” leonessano alle ore 15 del 7 aprile 1944, venerdì santo. Don Concezio, altro “Cristo”, veniva ucciso in “Odium Fidei” per essersi prodigato tra le opposte fazioni a salvare la vita di chiunque. Anche altri due preti furono uccisi in quella settimana di passione: don Giuseppe Morosini, fucilato a Roma nel forte Bravetta dai fascisti italiani il 3 aprile, lunedì santo e don Pietro Pappagallo, assassinato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo nella settimana di Passione, ambedue Medaglia d’Oro.

    Luciano Priori

    Uomini come don Concezio e come tanti altri che sono stati uccisi per aver testimoniato la forza dell’amore cristiano sono i testimoni di una santità vera, vissuta nel nascondimento delle piccole opere quotidiane intrecciate di carità e di silenzio.