Sulle orme di San Maurizio

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    Se i nostri colli potessero parlare.

     

    di Umberto Pelazza

     

    Quando i legionari di Augusto s’impadroniscono dei passi alpini, il dio celtico delle alture, Penn, lascia il suo nome alle Pennine e passa le consegne al mediterraneo Giove, che indossa l’uniforme invernale e si trasferisce sul Gran San Bernardo dove si affretta ad aggiungersi la qualifica di Pennino (Montano). Sul passo, i doganieri indigeni si sono eclissati: l’ultima comitiva romana taglieggiata era stata quella di Decimo Bruto, uno degli uccisori di Cesare, in fuga dalla capitale: con mimica inequivocabile l’avevano convinto a lasciare la spada nel fodero e mettere
    mano al portafoglio. Ora il transito a offerta libera: pi monetine tintinnano ai piedi del nuovo dio, meno guai incombono viaggio durante: sconto pro itu et reditu, andata e ritorno. I militi cristiani della legione Tebea passano indifferenti, la decade ben stretta in tasca. Giove per il momento lascia correre, per riguardo all’illustre collega (tutti devono vivere…) ma se la lega al dito e quando gli rifiuteranno il prescritto sacrificio prima della battaglia, lascer che la giustizia faccia il suo corso.
    Con gli spiccioli risparmiati i contestatori biancocrociati acquistano l’aureola del martirio e prenotano una fitta serie di caselle sul calendario (alcune occupate per gloria postuma dai soliti abusivi). Il comandante Maurizio dovr pazientare qualche secolo prima di diventare patrono degli alpini. Quando sul percorso dei martiri passer in epoca medioevale la via Francigena, alcune pellegrine inglesi, rimaste senza un penny durante il viaggio di ritorno da Roma, saranno costrette, per pura sopravvivenza, a prostituirsi. La Santa Sede impone allora l’alt ai pellegrinaggi femminili, ma ogni conquista vuole i suoi martiri: per le sportive figlie d’Albione il Grand Tour nella penisola diventer iniziatico e s’avr da fare, costi quel che costi. Il diario del valico volta pagina a cavallo del Mille con l’arrivo dei nuovi appaltatori delle gabelle, una cooperativa autonoma di extracomunitari saraceni: firmano le ricevute a punta di scimitarra, sequestrano e mettono a riscatto personaggi illustri, danno un fracco di botte ai meno abbienti e arrotondano il tutto con razzie nei dintorni: fra gli attuali abitanti dei due versanti si agitano certamente ancora i cromosomi di qualche figlio di Maometto, che prima riscuoteva dal marito e poi scuoteva la moglie. A cacciarli dal colle non fu tanto la foga missionaria di frate Bernardo, che potr innalzarvi la croce e costruire il suo ospizio, quanto la reazione di signorotti locali, forti del loro buon diritto: I viandanti sono cristiani e rapinarli compito nostro.
    Ritrovano lavoro i marroniers, guide e portatori locali, attivi specialmente nella brutta stagione. Dopo il 1600 vengono esonerati dal servizio militare e diventano soldats de la neige, che si fanno carico della protezione civile: ripartiti in squadre agli ordini di un sergente, provvedono alla manutenzione della strada, al blocco del passo in caso di epidemie, alle operazioni di soccorso, al recupero delle salme. Si renderanno utili alle truppe napoleoniche di passaggio nel maggio del 1800, ma il Primo Console non esiter a sciogliere quel minuscolo, anomalo reparto di specializzati di montagna: se li porter con s in Russia e nell’inverno del 1812 al passaggio della Beresina troveranno la loro Nikolajewka.
    L’incubo saraceno si dissolto anche sul colle di Tenda, che vede snodarsi, lungo la val Roja, provenienti da Nizza, le lunghe file di muli della via del sale, in senso opposto alle mandrie piemontesi dirette agli alpeggi di Monte Bego, il paradiso delle incisioni rupestri. Durante la bella stagione, ai quadrupedi si accodavano le lettighe delle dame nizzarde affidate ai collants, gli addetti al colle, con destinazione Cuneo: una sedia di paglia, due lunghi bastoni di sostegno, un asse per i piedi e l’immancabile telo protettivo (guai a ritornare abbronzate come volgari contadine!).
    Le vie del sale erano diffuse su tutta la cerchia alpina. Ingrediente banale all’apparenza, era indispensabile alla conservazione delle derrate e alla concia delle pelli; ebbe in passato un ruolo analogo a quello odierno del petrolio e fu oggetto di continui attriti fra stati produttori e consumatori. Fu sottoposto a pesanti gabelle e provoc un contrabbando generalizzato. Un’altra via, risalita dalla Provenza, valicava le Cozie al colle delle Traversette, nei pressi del Monviso, per scendere nel Marchesato di Saluzzo lungo un sentiero da capre, soggetto a frane e valanghe. Ma un bel giorno si accorgono che, trecento metri sotto, la barriera rocciosa non raggiungeva spessori proibitivi e cos, nell’estate del 1478, la sottopongono a un paziente trattamento Annibale: la roccia, arrostita al calor bianco con fuoco di legna e raffreddata di colpo con acqua e aceto, viene sgretolata a mazzate. Nasce il Buco del Viso: lungo 75 m., largo 3 e alto 2, il primo tunnel artificiale della storia.
    Oggi diventato meta di turisti curiosi. Uno dei primi a ficcarci il naso dicono sia stato Leonardo. Sar anche vero: non sta in piedi invece la storiella che vede l’eclettico scienziato sessantenne scarpinare sulle pendici del Monte Rosa: infatti lo strategico colle del Lys, alla testata della Val di Gressoney, sar raggiunto soltanto nel 1778, protagonisti sette gressonari partiti alla ricerca della leggendaria Valle Perduta, un ridotto montano con cime imponenti, fitte foreste, acque scintillanti e ricchi pascoli. Presso lo scoglio roccioso sulla displuviale svizzera, battezzato Roccia della Scoperta, la leggenda si dissolse tra folate di nubi, quando ai loro occhi apparve la conca di Zermatt, dalla quale, secoli prima, erano risaliti i loro progenitori walser. Primi in Europa, i sette vevano superato la soglia dei quattromila, chiuso l’era delle montagne leggendarie e aperto la strada all’alpinismo moderno.
    Uno di loro ha lasciato il nome al colle Zumstein, meta, nel 1889, di due religiosi alpinisti, ovviamente senza tonaca, che, ahim, passano di buon mattino a Macugnaga sotto le finestre di una certa Caterina Creda, che annota subito la ghiotta notizia, da commentare poi con le vicine: Oggi, 29 luglio, passano due preti diretti al Monte Rosa, con grave scandalo di tutti. Uno dei due scandalosi sarebbe diventato papa Pio XI.
    Se Felicit Carrel, di Valtournenche, ne avesse imitato l’abbigliamento, forse non le sarebbe sfuggita la prima femminile al Cervino. Era quasi in vetta quando un’improvvisa bufera le rovesci la crinolina a cavolfiore sulla testa, impedendole di proseguire: dovette accontentarsi di lasciare il nome al Col Felicit. Niente foto, purtroppo: nonostante i mutandoni sarebbe diventata famosa come la Marylin Monroe della gonna svolazzante sopra la grata!
    Tra la valle di Gressoney e la valle d’Ayas, il colle della Ranzola ancora oggi attraversato da un lungo muraglione a secco, eretto dagli austro piemontesi nel 1800 per impedire a Napoleone l’aggiramento del forte di Bard. Vi pass nel 1857 un turista d’eccezione, lo scrittore russo Leone Tolstoj, allora trentenne: l’anno prima aveva partecipato alla guerra di Crimea e chiss che sulle rive del Mar Nero non sia stato raggiunto da un grido lontano e incomprensibile: Ch’a cousta l’on ca cousta, viva l’Aousta, che i fanti della Brigata Aosta avevano coniato sotto
    le mura di Sebastopoli assediata.

     

    Fuori della fiction letteraria, il vanitoso play boy con le donne non andava tanto per il sottile. A Gressoney racconta nel suo diario ci ha servito una cameriera gigantesca, le ho dato cinque franchi, ma credo che non concluder nulla. Sul colle, accarezzato da una brezza sottile, esorcizza il ricordo della nottata in bianco, componendo un’ode dedicata alla bellezza femminile. Ma, sceso a S.Vincent, non desiste e ci riprova con una tabaccaia bellina. E qui il diario s’interrompe. Che tutto sia finito con l’acquisto di una scatola di sigari?
    Sul colle del Lys il secolo si chiude con un’escursionista di lusso, la regi
    na Margherita, che nei pressi del valico si vide stramazzare accanto il barone Peccoz, fulminato da un infarto. Sorte analoga era toccata all’aiutante di campo del marito, mentre stavano giocando a carte. La chiamavano regina di cuori, conevidente riferimento alla cardiologia.
    Cos l’accoglieva l’abate Gorret (l’ Orso della Montagna: nel 1865 aveva reso possibile a Jean Antoine Carrel la prima italiana sul Cervino): Lieto di rivedervi, Margherita; Umberto non c’?Dovrei baciarvi la mano, ma siete ancora giovane e bella e non vorrei essere indotto in tentazione. La regina sorrideva e gli consegnava il bastone perch si punisse da solo.
    Umberto non c’era perch nel frattempo, sul colle del Nivolet, stava mirando agli stambecchi della riserva reale; a sera spostava il bersaglio sulle giovani valligiane olezzanti di stallatico. E, per amor di patria e di paesello, il prevosto chiudeva un occhio.