Nel corso di una rassegna di canti folcloristici tenutasi a Torino in occasione del Salone Internazionale della Montagna, abbiamo ascoltato diversi cori esibirsi con notevole successo di pubblico nell’interpretazione di canti alpini. Dobbiamo però dire con estrema franchezza (anche se a molte persone, anche in buona fede, questo potrà spiacere) che malgrado la suggestione profonda dei nostri canti, essi stanno perdendo sempre più le loro originali e tradizionali caratteristiche. È invalsa la deplorevole mania delle armonizzazioni ed arrangiamenti più disparati, forzando sino all’inverosimile ed al ridicolo l’inutile gioco del canto e controcanto, abusando dell’insopportabile falsetto, costruendo insomma sulle canzoni degli Alpini tutto un barocco castello di fronzoli.
Con queste parole comincia una lettera pubblicata su L’Alpino n. 1 del 1964. È la prima di una serie di testimonianze piuttosto vibrate che si sono succedute su questo mensile fino al 1967. I pareri furono contrastati ed il tono del confronto vivace e polemico. Ci fu un convegno a Lecco ed una Commissione Nazionale per identificare i 30 veri canti degli alpini pubblicati in un canzoniere ufficiale che il Centro Studi bene ha fatto a ripubblicare in stampa anastatica.
A distanza di oltre 40 anni, l’Associazione Nazionale Alpini ha deciso di riflettere ancora una volta sulla coralità alpina. Dopo l’abolizione della leva, la comparsa dei cori congedati, il censimento di oltre un centinaio di cori classificati ANA , l’Associazione ha deciso di guardarsi allo specchio per capire che cosa canta, come lo canta, se è consapevole fino in fondo del proprio ruolo insostituibile di custode dei valori alpini.
Lo statuto dice che l’Associazione si propone di tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difenderne le caratteristiche, illustrarne le glorie e le gesta . Il canto alpino è forse una delle forme più belle e più seguite per trasmettere la storia. Si pensi alla importanza di una corretta presentazione di un canto, al suo inquadramento storico ed artistico: quanto possa valorizzare il canto stesso e la cultura alpina in generale.
E ancora, al calore di una armonizzazione che tocca le corde più intime del cuore, scaldandolo con una dolcezza indescrivibile. Alla bellezza dell’evocazione della montagna e i suoi paesaggi, alla voglia di stare insieme che suscita un coro, al lavoro che sta alla base di ogni brano Il canto alpino è tutto questo: un amalgama di canto popolare, canto d’autore, armonizzazioni storiche e moderne, incisioni pionieristiche e professionali, testi poetici, letterari o di estrazione contadina
E allora, per riprendere questo argomento, la Sede Nazionale ha riunito quattro fra i più celebri maestri della coralità alpina e di montagna: Armando Corso (coro Monte Cauriol di Genova), Bepi de Marzi (coro I Crodaioli di Arzignano VI), Massimo Marchesotti (coro della sezione ANA di Milano) e Mauro Pedrotti (coro della SAT di Trento). Presenti anche Silvio Botter e Mariolina del Centro Studi oltre a chi scrive.
Che cosa ci siamo detti?
Essenzialmente che non è più tempo di censure, classificazioni, obblighi, prescrizioni: ognuno canta ciò che vuole, come vuole. La differenza fra la qualità artistica (in termini di esecuzione, armonizzazione e scelta dei brani) ed una esecuzione che storpia e adultera le nostre canzoni maschie e semplici , per citare la lettera del 1964, sta semplicemente nel pubblico. L’arte non può essere imbrigliata. De Marzi, per un problema non previsto, è intervenuto solo telefonicamente, lamentando il silenzio degli alpini nei Pellegrinaggi, nelle sante messe, anche sull’Ortigara, dove vengono delegati alcuni gruppi a cantare mentre i mille e mille partecipanti, che potrebbero innalzare alle montagne un immenso coro a una sola voce, si guardano bene dal cantare e perfino e dal pregare.
Ha stigmatizzato poi le strane ‘liturgie’ dei concerti corali dove imperversano presentatori enfatici e logorroici e gli inopportuni interventi delle cosiddette autorità. Ha concluso dicendo: ‘Oh, se si ritrovasse la felicità di cantare!’ Pedrotti canta solo brani popolari e fra questi anche alcuni degli Alpini e pur ponendosi al di fuori del mondo associativo ha ricordato con perplessità un concerto all’estero assieme ad un coro ANA che, ad un certo punto, si è messo a ballare sul palco, sconvolgendo completamente i valori che ci si aspetta da un coro alpino.
Corso canta la tradizione popolare e alpina e quando il suo coro, nel normale percorso evolutivo, devia dalla strada maestra, immediatamente il suo pubblico lo richiama all’ordine perché chi ascolta il Cauriol non ama stramberie. Marchesotti ricorda l’eccessivo protagonismo di certi maestri che improvvisano la direzione artistica senza il necessario humus musicale ed associativo. E così ecco i compiti a casa che ci siamo dati, per cercare di crescere tutti nella consapevolezza e nell’amore per il canto alpino:
1. Conoscere la storia
Il convegno di Lecco del 1967, quello di Vittorio Veneto, quello di Cortina d’Ampezzo sono solo alcuni dei seminari in cui si è discusso, ad alto livello, di coralità alpina, di montagna e popolare. Questi lavori sono purtroppo sconosciuti ai più anche se contengono elementi di confronto indispensabili per chiunque ami il canto popolare. Si è quindi deciso di riassumerli su queste pagine, divulgandone il contenuto ed aprendolo al dibattito.
2. Conoscere i canti
Capire da dove vengono i brani che cantiamo, la loro etimologia, storia e composizione, è indispensabile per un serio lavoro di promozione del canto alpino. Quante fesserie ascoltiamo nel corso delle presentazioni dei concerti! Capire la differenza fra canto d’autore e popolare, capire che spesso il canto alpino è la rielaborazione di una precedente melodia popolare, agganciare un testo ad un periodo storico preciso: questi alcuni degli obiettivi che si pone questo compito.
3. Recensire concerti, incisioni e pubblicazioni
Al Centro Studi arrivano centinaia di richieste di spartiti, cd ed altro materiale musicale che è facilmente reperibile se adeguatamente conosciuto e catalogato. La recensione aiuta poi a dire che non siamo proprio tutti belli, bravi, intonati, amalgamati e ricchi di armonici così come talvolta sembra. È giusto dire chi è veramente bravo (e diventa un riferimento) e chi è solo volonteroso, chi può essere imitato e chi ha bisogno di imitare. Realizzeremo una sorta di guida per aiutare chi canta, chi ascolta, chi dirige.
4. Dibattito sulla coralità
Ultimo ma non ultimo a voi la parola. Le opinioni sulla materia sono tante e diverse così come è variegato il mondo associativo. Non credo che ci sarà una risposta definitiva per tutte le domande. Sono sicuro però che una maggiore comprensione della materia aiuterà tutti noi a superare i dilettantismi più marcati. E questo, ripeto, vale per chi canta, chi ascolta, chi dirige.
Tutto qui. Il sasso è stato lanciato nell’acqua cheta delle nostre abitudini. Il dibattito è aperto ed il lavoro molto. Ritengo che l’unica regola che dovrà seguire la discussione sia la franchezza. La meta cui tendere in questo cammino i valori alpini che ci guidano sempre.