Storia di un artigliere alpino

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    Fin dai tempi delle Legioni di Roma gli eserciti si sono differenziati dalle bande guerriere per organizzazione e disciplina. Strutture specifiche riunivano tutti i combattenti secondo l’armamento. Da ciò sono nate le “Armi” e i “Corpi” degli eserciti, come il Corpo d’Armata Alpino, composto principalmente da gente montanara, sia che lo fosse per nascita o per aspirazione. Così è stato per Angelo Gaifami (1895- 1970), nato a Venezia ma poi trasferitosi a Milano per studio e lavoro.

    Ce lo fa conoscere il nipote Matteo, artigliere alpino come il nonno, che scrive: “Mio nonno era tenente (poi primo capitano) nel 3º reggimento di artiglieria da montagna, dove poi ho fatto servizio io, come ufficiale di complemento; fu insignito della Medaglia d’Argento per il comportamento tenuto durante la battaglia di Vittorio Veneto, fu anche a Gorizia ma in realtà non so dire da dove scrisse questa lettera che abbiamo trovato tra le cose care a mio papà. Di mio nonno ho la divisa da ufficiale ma non ho molti ricordi diretti: morì che io ero piccolo, appartiene alle generazioni che hanno vissuto due guerre e che abbia riportato dei segni l’ho saputo da mia nonna che non ha mai voluto guardare in televisione nessun film di guerra con noi nipoti perché, diceva, le facevano tristezza”.

    Il tenente Angelo Gaifami era stato decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Ferito per lo scoppio di una granata nemica durante un’azione di fuoco della batteria di cui teneva il comando, continuava a dirigere l’efficace tiro dei suoi pezzi, sotto l’intenso ad aggiustato bombardamento avversario, dando mirabile prova di coraggio e saldezza d’animo – Monte Grappa, 9 febbraio 1918. (D. Lgt. 8 giugno 1919, B.U. 1919, d. 41, p. 2799)”. Faceva parte del 3º reggimento artiglieria da Montagna, costituito a Bergamo il 1º febbraio 1915. La specialità di artiglieria da montagna nacque a Torino il 23 giugno 1887 e nel 1896 ebbe il battesimo del fuoco durante la battaglia di Adua (guerra di Abissinia).

    Dopo vari aggiustamenti organizzativi ed operativi, a partire dal 1910 agli artiglieri da montagna fu concesso di indossare il cappello alpino. Durante la Grande Guerra tutte le batterie erano armate con pezzi da 65/17 a deformazione. La loro caratteristica era quella di rimanere immobili durante il tiro, mentre alcune sole parti seguivano il cannone nel rinculo e ritornavano poi automaticamente nella posizione iniziale; in tal modo era possibile tirare più colpi di seguito senza ripuntare la bocca da fuoco e senza perdere precisione nel tiro.

    Nell’unica lettera, rimasta ai familiari, Angelo Gaifami scrive della polizza sulla vita stipulata con beneficiaria sua mamma: “29 settembre 1918 – Carissimi, eccovi la famosa lettera che contiene parecchie cosucce e che ha un certo valore – vale quasi 5.500 lire – tale è il prezzo di costo mio. Ad ogni modo sempre meglio che niente. Le due polizze, intestate a me ma di cui usufruttuaria in caso di morte (£. 5.000 se muoio in guerra, 1.500 se non per cause di guerra) sei tu mamma, quindi sono carte che devi conservare te diligentemente. I soldi, come figura nella dichiarazione del retro, in caso di morte mia, ti debbono essere pagati immediatamente. E così resta eliminata una causa che mi lasciava un po’ spiacente. Fin dal giorno che sono partito per la guerra mi crucciavo di non aver nulla, nessun ricordo intimamente, propriamente mio… da lasciare a te mamma, da custodirmi, e, se mai, da conservare come ricordo”.

    L’anno precedente, 1917, per i soldati italiani fu l’anno più difficile della guerra, l’anno di Caporetto. Gran parte delle truppe italiane, per evitare di essere accerchiate, dovettero abbandonare precipitosamente le posizioni, alcune ordinatamente, altre si disgregarono; l’esercito italiano, praticamente dimezzato, riuscì ad attestarsi sulla linea difensiva del Piave. Il generale Luigi Cadorna fu rimosso dal comando e sostituito dal generale Armando Diaz; si costituì un governo di coalizione nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. Il comando supremo mise in atto una serie di provvedimenti volti a sollevare le condizioni materiali e morali dei soldati: vitto più abbondante, licenze più frequenti, maggiori possibilità di svago.

    Mentre si rafforzava la resistenza sul Piave, lo Stato pensò di offrire ai combattenti un segno tangibile di gratitudine, concedendo speciali polizze gratuite di assicurazione a favore di militari e graduati di truppa combattenti, mentre in precedenza il costo di eventuali assicurazioni era a carico dei contraenti. Queste assicurazioni furono istituite con decreto luogotenenziale 10 dicembre 1917 n.1970”. Per gli ufficiali le polizze erano in importi superiori in base al grado. Da allora, dopo la morte degli assicurati, avvenuta in combattimento, oppure per ferite riportate combattendo o a causa di malattia dovuta al servizio di guerra, la somma prevista andava corrisposta alle persone designate in polizza senza pregiudizio del diritto alla liquidazione della pensione privilegiata di guerra.

    La lettera di Angelo continua: “L’unica cosa mia che sentivo attaccamento, i miei libri, che erano i miei unici veri amici, anche quelli erano sbandati, e chissà se riuscirò a riunirli. Ebbene ora sono più tranquillo, sono più contento. Ora mando a te qualcosa guadagnato, con 34 mesi di sacrificio, qualche cosa avuta come premio per aver arrischiato la pellaccia per 34 mesi – qualche cosa che è veramente mio, un quid che è prova di sacrifici, dolori, pericoli, e non sono tanto i denari, questi ultimi, ch’io intendo ed ho inteso di offrire a te, mammettina mia. Ed è soltanto per questo ch’io insisto e desidero che tu accetti per potere avere la soddisfazione nei momenti di sacrificio di poter dire: soffro ma per la mia mamma. E non ne parliamo più. Vi unisco una cartolina ricordo che conserverete a memoria […] Aggiungo anche un ordine della mia divisione che, ancorché i giornali non ne parlino, qualche cosa di buono lo facciamo sempre […] Intanto vi bacio caramente. Angelo”.

    Questa è l’unica lettera conservata dai parenti di Angelo Gaifami, anche se ne avrà scritte sicuramente tante altre; parole semplici che rievocano in modo straordinario l’affetto per i cari e l’angoscia che i soldati vivevano in quei frangenti, come la sola cartolina ritrovata di Francesco di Pedergnaga, un altro alpino, un’altra storia: “Dalla trincea, 26.4.16 – Cara sorella, tutte le mattine nello spuntar del sole il mio primo pensiero è quello di prendere la matita e inviarvi i miei più sinceri saluti e baci a tutti di famiglia. Intanto che vivo (e che mi trovo in questo posto) ve ne scrivo una al giorno. Io sto bene e così spero da voialtri in famiglia. Ricevi un caldo bacio da tuo fratello Francesco”. Briciole di storie di alpini che hanno fatto la Storia d’Italia.

    Luigi Furia