Speranza per il Libano

    0
    216

    Il Libano è una nazione lacerata dai conflitti, dal dissenso e dagli scontri che affondano le radici nella guerra civile iniziata nel 1975 e durata sedici anni, acuita dalla presenza di Israele che dal 1978 ha posato il suo piede sui territori libanesi. Nell’estate del 2006 la rappresaglia israeliana contro Hezbollah provocò una grave situazione umanitaria con 1milione di sfollati che dal Sud del Paese si riversarono in altre regioni. Le Nazioni Unite, già presenti nell’area, decisero di rafforzare il contingente internazionale per garantire la cessazione delle ostilità nel sud del Libano, in una zona compresa tra il confine con Israele a sud, identificato dalla Blue line, e il fiume Litani a nord.

    Dal 2018 l’Italia guida la missione Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) con il gen. D. Stefano Del Col, alle cui dipendenze operano oltre 10mila militari di 45 Paesi. Il territorio controllato dalla forza di interposizione internazionale è suddiviso in zone di competenza e dallo scorso febbraio nel Settore Ovest di Unifil, comandato dal gen. B. Davide Scalabrin, operano gli alpini della brigata Taurinense – unità che il 15 aprile celebra il 69º anniversario di costituzione – con il comando Brigata, il 1º reggimento Nizza Cavalleria, il reggimento Logistico Taurinense, il battaglione Saluzzo del 2º Alpini e assetti del 32º reggimento Genio guastatori, del 1º reggimento artiglieria da montagna e del reparto Comando e supporti Tattici.

    Generale Scalabrin, quali sono i compiti principali della forza d’interposizione e in particolare degli alpini?
    Alla brigata Taurinense, che qui in Libano è presente con quasi 800 dei suoi alpini e Dragoni, è demandato il compito rappresentato dall’applicazione della Risoluzione 1.701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che si traduce nella costante vigilanza sulla cessazione delle ostilità tra Libano e Israele monitorando la Blue line, ossia la linea di demarcazione tra i due Paesi, attraverso pattugliamenti e posti di osservazione e controllo. A questo si affianca il supporto alle Forze Armate Libanesi e alle istituzioni civili. Non possiamo non tenere, però, in considerazione gli eventi che stanno segnando il Libano. La profonda crisi sociale, politica ed economica, su cui pesa anche la complessa situazione sanitaria legata al Covid, sta indiscutibilmente rendendo la nostra missione diversa, più delicata. Per la brigata Taurinense è il secondo mandato in Libano, dopo la prima missione del 2015/2016, e per molti dei miei alpini e Dragoni è un ritorno segnato da profondi cambiamenti che rendono il nostro compito sicuramente più complesso.

    La mediazione e il confronto sono da sempre fondamentali per lo svolgimento delle missioni nelle quali è stato impiegato l’Esercito italiano. Quali sono i meccanismi di coordinamento per evitare tensioni lungo la Blue line tra le Forze Armate libanesi e le Forze di Difesa israeliane?
    La mediazione e il confronto sono strumenti potentissimi se utilizzati con equilibrio e professionalità. Operare con trasparenza e imparzialità in piena aderenza al mandato ricevuto, ossia la Risoluzione 1.701, è l’unica strada per adempiere alla missione, pur rimanendo sempre pronti e risoluti per ogni evenienza. In questo contesto, particolare rilevanza la assume proprio l’azione di dialogo e interazione i cui primi attori sono proprio i soldati che operano tra la gente. È compito dell’Head of Mission e Force Commander di Unifil, attualmente il generale di Divisione Stefano Del Col, mantenere i contatti tra le parti, e questo avviene tramite i “tripartite meetings”, unico strumento di confronto sotto la supervisione e la mediazione di Unifil. È anche significativo come la scelta del Force Commander di Unifil sia ricaduta per ben quattro volte su generali italiani, testimonianza del riconoscimento internazionale all’attività realizzata dai nostri connazionali.

    La situazione nella capitale e le proteste che hanno infiammato il Paese negli ultimi giorni, seppur esterne alla zona sotto il controllo dei caschi blu, hanno risvolti sulla missione?
    Il Libano sta vivendo un periodo molto complesso e delicato, sia a causa della pandemia in corso, ma soprattutto per la pesante crisi economica e politica che attanaglia il Paese. Le proteste non stanno avendo ripercussioni particolari sullo svolgimento della missione, che prosegue anche grazie alla stretta cooperazione con le Forze armate libanesi per la sicurezza e la stabilità dell’area. A questo va aggiunto, e ne sono orgoglioso, la preparazione dei miei alpini e dei miei Dragoni che anche nelle fasi di approntamento in Italia si sono addestrati alla complessità dello scenario attuale. La cooperazione con chi ci ospita è un elemento chiave del successo. Il dialogo e lo scambio di informazioni con le autorità libanesi militari e civili ci permette di poter continuare ad operare pienamente adottando gli accorgimenti necessari. Questo è possibile perché le autorità libanesi hanno ben chiara l’importanza della nostra missione e l’interesse comune a realizzare un supporto concreto ed efficace.

    In Afghanistan i nostri militari hanno saputo aprire spiragli anche con le armi del dialogo e della cooperazione civile-militare. Questo è possibile in Libano?
    Come ho accennato, il dialogo e la cooperazione civile-militare sono essenziali per questa missione, il cui scopo primario è la realizzazione delle condizioni di sicurezza necessarie alla creazione di un ambiente più stabile. Un compito che, se da un lato è reso più complesso dalla generale crisi in cui versa il Paese, assume un’importanza ancora maggiore se rivolto alla popolazione. Permettere un’efficace azione da parte delle organizzazioni umanitarie, e intervenire direttamente nei confronti della popolazione e delle istituzioni locali, secondo le necessità che ci vengono prospettate, sta assumendo un significato ancora più profondo. Attraverso i continui contatti dei nostri team specialistici della Cooperazione Civile-militare (Cimic, Civil Military Cooperation), e grazie agli incontri con le autorità locali quotidianamente operiamo per rendere il nostro supporto più aderente possibile alle condizioni attuali. Farlo nel contesto attuale legato all’emergenza sanitaria richiede uno sforzo maggiore per garantire il costante contatto con la comunità civile applicando le necessarie misure di sicurezza a protezione dei nostri soldati. A tal proposito, abbiamo da poco avviato una campagna di sensibilizzazione al rispetto delle norme di contenimento del contagio da Covid-19, che qui in Libano è ancor più diffuso che in Italia. Questa campagna informativa “Together against Covid” si svilupperà anche attraverso diffusione di brevi filmati, realizzati insieme a medici e a militari libanesi, ed interessando diverse componenti del contingente nel Settore Ovest, con l’obiettivo di raggiungere diversi strati della popolazione, sensibilizzandoli a mettere in atto tutti gli accorgimenti per limitare il contagio e contrastare il diffondersi della malattia. Parallelamente il Cimic opererà, dapprima attraverso la consegna di dispositivi di protezione individuale alle principali istituzioni che ne coordineranno la distribuzione sul territorio e successivamente al supporto diretto delle principali strutture sanitarie con attrezzature che integreranno le capacità dei nosocomi di curare le persone affette da Covid. Avvalerci delle istituzioni locali, proprio con lo scopo di coinvolgere quanto più possibile gli amministratori locali del territorio, senza sostituirci a loro è l’approccio che sta riscuotendo il maggiore apprezzamento.

    Com’è il rapporto tra le confessioni e come Unifil è impegnata a favore del dialogo religioso?
    Il Libano è sempre stato un modello di multiculturalismo e interconfessionalità, costruito però in decenni di contrasti tra popoli, religioni, mentalità, credi politici e standard di vita differenti. Sono ben 19 le diverse confessioni religiose riconosciute in questo Paese, che convivono in un clima di rispetto reciproco, rendendo in questo il Libano un esempio per tutti i paesi del Medioriente. Non è sempre una convivenza facile e automatica, anzi. Ne è riprova la difficile crisi politica che sta affrontando il Paese. Tuttavia non dobbiamo sottovalutare l’importanza del dialogo. Ci sono villaggi nei quali, sulla piazza principale, si affacciano la moschea e la chiesa cristiana, e in cui le diverse comunità religiose si rispettano e si sostengono nei momenti di difficoltà. La Taurinense, così come tutti i peacekeepers di Unifil, prosegue su questa rotta, favorendo questo tipo di dialogo tra le diverse confessioni, animata sempre dall’equilibrio e dal rispetto verso ognuna di loro. Incontrare, dialogare e confrontarsi con i rappresentanti delle differenti comunità e credo religiosi, aiuta il processo di coesistenza, riducendo ulteriormente le distanze con le autorità e la popolazione locale, elemento ancor più necessario nel grave momento di difficoltà sociale di questo inizio 2021.

    Nel Settore Ovest del Libano collaborano con l’Italia altre 15 nazioni. Come si armonizza la cooperazione tra eserciti provenienti da culture e abitudini così diverse?
    Assumendo la responsabilità delle operazioni nel settore occidentale di Unifil, la Taurinense ha contestualmente assunto il comando dei contingenti internazionali provenienti da eserciti di ogni parte del mondo. I paesi che contribuiscono maggiormente in termini di peacekeepers sul campo, ossia Malesia, Ghana, Corea del Sud e Irlanda, oltre all’Italia ovviamente, costituiscono i battaglioni di manovra delle cinque zone nelle quali è suddivisa l’area di responsabilità del settore. A loro si aggiungono militari provenienti da Armenia, Bielorussia, Brunei, Kazakistan, Macedonia, Malta, Polonia, Serbia, Slovenia, Ungheria e Tanzania. Tutti questi militari, uomini e donne, pur provenendo da Paesi e continenti con culture e tradizioni differenti, hanno in comune l’obiettivo di operare per il rispetto della Risoluzione 1.701. Inoltre, operare congiuntamente e trovarsi a realizzare attività operative o esercitazioni congiunte è un momento di scambio che reputo fondamentale per la crescita di ogni militare. È indubbio che una missione come quella che stiamo svolgendo offre, tra le altre, la grande opportunità di confrontarsi tra realtà a volte molto diverse, accrescendo, ognuno, la propria cultura multietnica in un contesto, come quello delle Nazioni Unite che da sempre opera a favore proprio di questi principi fondamentali.

    m.m.