A casa di Luca

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    Noi alpini abbiamo sempre detto che “da soli non si va da nessuna parte” e capiamo benissimo quando la domenica, a Messa, ci dicono che “non ci si salva da soli”. Questo Covid è un’emergenza nazionale e come ogni emergenza ognuno la vive come può e i soliti furbi come vogliono. E anche questo, noi alpini, lo sappiamo. In questo momento le persone hanno capito che ognuno conta e ognuno è importante, ma si vince solo se arriviamo tutti assieme: come in marcia, come in montagna. La gente mai come in questo momento ha bisogno di confidare in una guida illuminata, non di un capo, ma di un buon gestore per quello che chiamiamo il bene pubblico.

    Talvolta ci aggrappiamo a particolari in cui vogliamo scorgere questo senso. L’abbiamo visto in Lomellina, a Gravellona dove l’Ana non ha una sede, ma una casa. Una casa futuristica, domotica, in cui tutto può essere azionato non con la forza ma con ordini vocali. L’abbiamo costruita noi quella casa, tutti insieme, 10 anni fa esattamente a cavallo tra il 2011 e il 2012 ed è ancora all’avanguardia in fatto di tecnologia e di efficienza. L’abbiamo affidata a uno dei nostri, a Luca Barisonzi, ad un alpino che porta i segni della propria dedizione e del dovere alla Patria, ferito gravemente in missione in Afghanistan.

    Qualche giorno prima di lasciare l’incarico il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina, è partito da Roma per venire a trovare Luca. Aveva un seguito ridotto all’essenziale per via del Covid, l’esempio l’ha dato anche nel rispetto delle norme, ma ha voluto accanto a sé gli alpini dell’Associazione. Ha informato telefonicamente il Presidente nazionale Sebastiano Favero e al suo fianco c’era il Presidente di Milano Luigi Boffi e il Capogruppo degli alpini di Vigevano, dove si trovava la base operativa del cantiere della Casa di Luca (Gravellona dista una manciata di chilometri). C’erano sia il Capogruppo che ha gestito allora la logistica del cantiere Marco Boccellini, sia l’attuale Giuseppe Abrardi.

    Questo al di là dei discorsi e delle dichiarazioni testimonia innanzitutto la sensibilità del comandante in capo dell’Esercito, ma soprattutto quel sentimento che lega concretamente la nostra Associazione con le Forze Armate. Noi lo sappiamo: non è sempre stato così… ma adesso lo è. Per noi è un dovere, è la base per cui ci troviamo in una sede e ci troviamo tutti all’Adunata, ma per un Esercito di professionisti riconoscere questo valore è veramente rilevante. E poi, scusate, il generale Farina nel suo iter militare ha comandato anche una Compagnia alpina e all’Adunata di Trento ha chiesto il permesso di sfilare con il suo cappello alpino da tenente. Che bisogno aveva di farlo se non sentire l’appartenenza e il riconoscersi in quelle file?

    Ecco, vogliamo aggrapparci a questi particolari che però ci danno forza e convinzione nella nostra azione. Fin che go fià… Fino a quando ce la faremo staremo insieme alla gente e impossibilitati a farlo con le parole educheremo le future generazioni con il nostro esempio e credo che nulla di quello che facciamo vada perduto. Gli anni vanno su, non facciamo quello che facevamo dieci anni fa, anche perché forse sul territorio siamo imbrigliati da troppa burocrazia, ma ci siamo.

    La gente conta su di noi e se siamo portati ad esempio ci sarà pure un motivo! Manca forse diffusamente sul territorio quell’attenzione che un Capo di Stato Maggiore ha avuto nei nostri confronti, ma credo che il destino ci abbia riservato ancora tante belle pagine da scrivere. Tocca a noi. Fin che go fià…

    Renzo De Candia