Questa volta conosciamo il caporal maggiore Angelo De Zan, contadino di Osigo di Fregona (Treviso), classe 1921. Arruolato nel 7º reggimento alpini della Julia nel 1940, dopo vari passaggi di reparto, il 14 ottobre 1942 parte per la Russia, inquadrato nel 6º rgt. della Tridentina (battaglione Val Chiese, 254ª compagnia) facente parte del Corpo d’Armata Alpino inviato in terra russa tra il giugno e luglio del 1942 con destinazione Rostov e poi Rikowo-Gorlovka. Il tempo impiegato per il trasferimento delle Divisioni alpine è di 20 giorni per la Tridentina; 33 giorni per la Julia; 25 giorni per la Cuneense. Al seguito viene creato il servizio postale, “Direzione postale intendenza speciale est”, con il reclutamento di personale civile delle amministrazioni dello Stato, che è obbligato ad indossare la divisa militare. Gli addetti operano in situazioni estreme, ma grazie al loro lavoro è possibile avere ancor oggi tra le mani lettere o biglietti postali inviati dal fronte, anche se, a seguito delle enormi distanze e della Ritirata, tanta posta si è persa.
Del nostro Angelo De Zan abbiamo solo una lettera che il 7 novembre 1942 scrive alla sorella dal fronte del Don: “Ieri ho ricevuto la tua lettera sulla quale intesi che godete tutti di ottima salute e così è (…) anche di me”. Lo scritto è su carta intestata, fornita dall’esercito, dove appare in testa lo stemma del Partito nazionale fascista e ai margini degli ordini per i soldati, tra cui “Militari! Non riferite mai, a voce o per iscritto, notizie che riguardano il vostro servizio. Tacete con tutti; anche con i vostri cari!”. Quindi la posta era soggetta a censura, anche se, data la situazione di grave disagio in cui si trovavano tutti, compresi quelli addetti alla posta, non era sempre prioritario il controllo della corrispondenza.
Alla sorella, che chiede conto dei soldi inviati con vaglia, risponde: “Mi hai detto che ti facessi sapere se prima di partire ho ricevuto le cento lire, si le cento lire le ho ricevute ma mi occorrevano in… (parola illeggibile: contanti?) per cambiarli in marchi, ma per questo non importa, che mi dispiace è che ho (sono) stato un mese prima di ricevere posta da voialtri. Cara sorella per arrivare qui abbiamo fatto 20 giorni di treno, siamo partiti il 14 e siamo arrivati il giorno dei morti, qui le cose non vanno male, la peggio è che fa un intenso freddo come da noi il mese di febbraio, ci sono 20 centimetri di neve. Io avrei bisogno che mi mandiate un pacchettino con dentro un buon paio di calzoni (calzettoni) di lana, guardate che non pesi più di due chili se no non mi arriva”. Della decade non sa cosa farsene, mentre vuol sapere come va in Italia: “Sorella io qui prendo due marchi al giorno, ossia 15 lire al giorno, i soldi ve li mando tutti perché qui non se ne spendono. Di paesano sono io solo, Giuseppe Armelini è a un altro battaglione, invece il Gillo è al mio battaglione, ma non so se sia ancora arrivato, perché io sono partito prima di lui su un’altra tradotta. Quando scrivi fammi sapere come la va in Italia. Cosa fate, cosa dicono perché noi non sappiamo niente”.
Poi scrive dei paesani e conoscenti che stanno vivendo la sua stessa esperienza: “Cara sorella oggi ho ricevuto una lettera da Giorgio dei Tuoni, il quale vi saluta tanto, lui però fa l’imboscato. Durante questi giorni di treno, passando per le stazioni ho visto dei paesani, molti da Vittorio (Veneto) che li conoscevo e quello della Besabesa da Sonego (frazione di Fregona) che è assieme ad Angelo Battestin, il quale dice che sta bene e che spera di venire in Italia con l’avvicinamento come capofamiglia”.
Ma ciò che desidera, più di ogni altra cosa, è ricevere lettere dai suoi cari. Non avere notizie da loro, lo angoscia: “Durante il viaggio vi ho scritto diverse volte, da Vienna da tutte le città principali, non so se le avrete ricevute. […] io scrivo tutto il giorno ma non ricevo posta da nessuno, la più poca posta la ricevo da voi, se non scrivete di più non vi scrivo altro perché sono stufo di pensare, pensate anche voialtri”.
Infine i saluti alla sorella, agli amici, infine al padre e alla madre, scritti con l’iniziale maiuscola: “Ora termino salutandovi tutti uniti in famiglia, tuo fratello che sempre ti ricorda. Salutatemi i Tuoni, i Gabilio, i Daga, i Rolle, la cugina Carmela, le ragazze di Battestin e tutti che domandano di me, parenti e amici. Mentre ti scrivo è il cannone russo che mi fa tremare ma non importa niente, il Don lo passeremo. Un saluto al Padre e alla Madre che piangeva giorno e notte, ma nessuno ci rimedia”.
Il 16 gennaio 1943 il nostro caporal maggiore si trova in linea sul Don. Il 17 il suo battaglione, il Val Chiese, lascia le posizioni e si dirige su Podgornie, poi Postojalyi e Krawzowka e la 254ª, la sua compagnia, si attesta ad Arnautowo. Nella notte gli alpini sono attaccati da forze russe ma riescono a respingerle e proseguire per Nikolajewka. Tanti i morti, ma non c’era neppure il tempo per piangere. L’ordine per i superstiti del Val Chiese è di lanciarsi a sinistra per raggiungere il sottopasso e da lì la stazione ferroviaria. Nell’assalto Angelo è ferito al piede destro e zoppicando supera il sottopasso e poi crolla a terra. Viene soccorso e portato all’ospedale di Kharkov (Ucraina) dove rimane un mese per poi rientrare a febbraio 1943 a Vipiteno, presso il suo reparto. Di quel periodo Angelo ricordava l’orizzonte di ghiaccio che non aveva fine, la disperazione e il coraggio di ogni giorno, gli amici riversi nella neve, gli occhi materni di una vecchia alla porta di un’isba, le lacrime della notte che inzuppavano il giaciglio. Dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943, viene fatto prigioniero dai tedeschi e deportato ad Olenstein (allora Prussia orientale), poi trasferito in un campo ad Amburgo dove, agli inizi di agosto, è liberato dagli alleati e rientra a Osigo lo stesso mese. Giunto in paese, come era usanza al tempo “per chi rientrava dalla guerra”, le campane suonano a festa, ma lui fa smettere subito lo scampanio: «No! Non si può per rispetto di chi non è tornato!». Ma per Angelo non era finita, in paese non c’era lavoro ed ha inizio la sua “seconda naja”. Parte a piedi per andare in Francia dove, in un paesino vicino a Montpellier, trova un’occupazione. Messi assieme quattro soldi, torna a Osigo dove ha lasciato un pezzo di cuore, la sua “Maria” lo aspetta. Si sposano e partono per la Francia, dove costruiscono il loro nido, nonostante la nostalgia del loro paese. Là Angelo muore il 1º giugno 2006 e sulla bara c’era il suo cappello con una lunga penna nera.
A cura di Luigi Furia