La forza della dignità

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    Se tagli il bosco, impari le stagioni, le vivi. Capisci quando è il momento, quando la luna non influirà sulla sostanza di tronchi e ceppi che tagli. Riassumi nei gesti, nelle albe e nei tramonti, il senso della vita. Che, pur difficile, va vissuta semplicemente, con dignità. E lui, Giacomo Vivenzi, alpino del Vestone, della dignità ha fatto una regola che lo ha portato a varcare la soglia della storia: Giacomo, per tutti Cumilì, si è affacciato alla vita il 23 aprile del 1913.

    Nella sua Marcheno, paese della alta Val Trompia, nel Bresciano, quest’anno ha varcato l’incredibile traguardo dei 107 anni, in una buona condizione di salute: è l’abitante più vecchio della Lombardia e probabilmente è l’alpino più vecchio d’Italia. Il coronavirus ha impedito al suo paese di festeggiarlo come l’anno scorso; gli auguri del Gruppo e della Sezione di Brescia sono arrivati on line, ma il sindaco, Diego Bertussi, lo ha salutato, a distanza, portando una fetta di torta e il parroco, durante la solitaria processione pasquale, si è fermato col Crocifisso davanti alla sua casa: Giacomo lo aspettava sulla porta.

    Per fortuna grazie ad una nipote, L’Alpino ha una fotografia del Cumilì nel giorno del compleanno, felice con il suo cappello con la penna nera. Nel 1934 Giacomo Vivenzi assolve agli obblighi di leva nel battaglione Vestone e, tornato a casa, si sposa nel 1936. Con la moglie Virginia nel 1940 ha due figlie, Albertina e Dorina. Ma la guerra incombe: richiamato, deve partire.

    L’8 Settembre 1943 è nella zona del Brennero, a Colle Isarco, e viene fatto prigioniero dai tedeschi. Per due anni e tre mesi sarà rinchiuso in campi di lavoro in Germania, Polonia e Russia. Non ne parla volentieri: lavorava nelle pinete, anche a 35 gradi sotto zero, per raccogliere legna; riesce a sopravvivere grazie alle patate e, in estate, alle rane, che faceva cuocere. «Camminavo – racconta – scavalcando file di soldati rimasti a terra».

    Ma Giacomo Vivenzi nel giorno del suo 107º compleanno. Sotto a destra: lo striscione preparato da figli, nipoti e pronipoti per festeggiare il loro Cumilì. la sorte è benigna: sopravvive e con una tradotta impiegherà cento giorni per giungere in Italia. A Marcheno ritrova Virginia e avrà altri due figli, Giuseppina e Federico. Ricomincia il taglio del bosco, commercia in legna, con l’ausilio di un mulo: «Era cieco, poverino, ma non sbagliava mai strada, è stato con me oltre quindici anni». Con i primi guadagni compera anche qualche mucca, che continuerà ad accudire sino a 95 anni. Oggi lo assistono (ma sta bene e mangia ancora con appetito anche l’immancabile spiedo) Albertina e Dorina, ha sei nipoti e sette pronipoti.

    Si siede sotto il grande albero accanto a casa, un noce, forse l’unico essere più vecchio di lui in quella contrada, e legge ogni giorno il Giornale di Brescia. Poi resta sulla panchina a godersi il sole e il cenno dei tanti che passano di lì anche solo per salutarlo. «Non so come ho fatto ad arrivare a questa età – ammette – Ho sempre lavorato, tutti i giorni, senza mai saltarne uno, solo lavorato ». Dignità, senso del dovere, lavoro, l’amico mulo… Il Cumilì magari non ci pensa, ma è facile vedere in lui un monumento vivente all’alpino.

    Massimo Cortesi