Scritti… con la divisa

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    Questa volta ricordiamo gli alpini che hanno percorso le montagne d’Africa. Manie di conquiste e di grandezza che le penne nere hanno vissuto e sofferto. Possiamo fare i processi alle vicende storiche, ma non certo condannare chi le ha subite. Parafrasando un vecchio detto si può dire che “le colpe dei governanti non possono essere addebitate ai cittadini” e neppure agli alpini. La sera del 9 maggio 1936, il Duce annunciò che “l’Italia aveva finalmente il suo impero” con la conquista dell’Abissinia. Un assunto del tutto teorico, visto che ebbe subito inizio la resistenza etiope. Ma diamo spazio ad alcune lettere di Renzo Peccerini, ufficiale alpino, poco più che ventenne, che scrisse dal fronte al papà Rodolfo. Domina nei testi la descrizione del territorio abissino con i suoi meravigliosi panorami che rallegrano il cuore del militare, addetto alle salmerie, pur angosciato dalla lontananza dalla madrepatria e dai suoi cari.

    Tra i vari episodi bellici, scrisse della battaglia del Mecan, combattuta il 31 marzo 1936 dagli alpini del battaglione Pieve di Teco. Sulla strada per Ascianghì il giovane Renzo si rese conto di quanto la guerra fosse crudele, constatando l’indifferenza con cui i cingolati schiacciavano i cadaveri. In una lettera inviata al padre il 22 aprile 1936, racconta le fasi salienti della battaglia di Mai Ceu, ultima grande battaglia della guerra d’Etiopia, alla quale prese parte il 31 marzo: “Passo Ezba 22 aprile 1936 – Caro papà ho ricevuto adesso la tua lettera (…) quest’ora avrai anche ricevuta la lettera da me scritta la sera del 31 scorso. La battaglia del Mecan è stata forse la battaglia più importante che sia stata combattuta sul fronte nord. È durata sedici ore. L’avversario era munito di artiglierie buone e bene manovrate che hanno causato gravi perdite. Il nostro contrattacco è stato eseguito dagli ascari…”. Mentre per quanto riguarda gli alpini “la superiorità della difesa, la sicurezza dalle posizioni consentivano una (…) resistenza indiscussa. A mezzogiorno la valletta dove si è svolta la lotta corpo a corpo, il contrattacco, l’inseguimento, era tutta piena di cadaveri”.

    Poche settimane dopo (Amba Alagi, 8 maggio 1936) scrive di nuovo: “Caro papà, adesso mi trovo ai piedi del passo Alagi la cui Amba è stata occupata dagli Alpini. Era arrivato quaggiù qualche eco di grandi manifestazioni, ecc., in Italia per la nostra vittoria. Vedo dalla tua lettera che effettivamente i giornali diffondono un delirio di gioia per la conquista. Molto spesso mentre cammini, ti assale un odore soffocante: è certamente qualche carogna abbandonata fuori strada (…). Questa forse è l’immagine di guerra più crudele che mi sia stato vedere finora. Gli abissini morti, ne ho visto da lontano qualcuno steso lungo le pendici dell’Amba Aradam. Quattro ne scovai un giorno in una buca gonfi di iprite, li doveva aver uccisi qualche aeroplano che aveva bombardato la pianura. Questo è tutto”. Dopo aver partecipato alla guerra, Renzo decide di presentare domanda per diventare “residente politico” nel Paese che ha appena contribuito a conquistare e chiede al papà che gli invii alcuni libri: “Passo Agumserta, 4 maggio 1936. A sentire di queste richieste librarie resterai stupito e aggiungerai: sei giù a fare la guerra o ad oziare? Infatti attualmente sono in pieno ozio.

    Il giorno 2 aprile la mia richiesta di cui ti ho accennato veniva soddisfatta e io andavo a comandare il plotone mitragliatrici pesante dalla 33ª compagnia del battaglione Exilles. Con quel plotone ho partecipato all’azione del giorno 3 aprile. Dopo qualche giorno sono tornato alle salmerie (…). Ti dissi che stavo pensando di fermarmi quaggiù come residente politico. Ho fatto la domanda che spero sarà accolta. Le condizioni ancora non sono state poste, ma è certo che entro breve tempo ci passeranno al ruolo coloniale e diventerò così un funzionario effettivo, in tal caso non so quando potrò tornare in Italia (…) so solo che ci sono concessi 4 mesi di licenza ogni due anni. Io penso con la mia domanda di aver colto una palla al balzo e che appoggiato dalla fortuna, in cui comincio a credere, le cose non mi andranno del tutto male. L’Abissinia è un bel Paese e si fa amare”. Copia della corrispondenza è stata messa a disposizione da Marco Bertollo, lontano parente di Renzo Peccerini il quale dovette rimpatriare per le note vicende belliche. Precisa Bertollo: “Lo stress post traumatico dovuto alla guerra, sarà fatale al giovane Renzo, che in un atto di debolezza e abbandono si suicidò dopo circa due anni nella casa di Camogli in Liguria”.

    Tra i protagonisti delle vicende d’Abissinia vi fu anche il vicentino Cristiano Dal Pozzo, morto nel 2015 a 102 anni. Nato nel 1913 a Rotzo (Vicenza), prima arruolato in fanteria poi partito per l’Abissinia come marconista e quindi assegnato alle Truppe Alpine. Dopo la guerra ritornò nel vicentino. Nel 2012 partecipò anche al raduno nazionale a Bolzano, città in cui era stato tratto in arresto dopo l’8 settembre del 1943 e deportato dai tedeschi in un campo di concentramento in Austria. Iscritto alla Sezione di Asiago, è stato per anni l’alpino più vecchio d’Italia, protagonista di decine di Adunate nazionali delle penne nere. Questo il suo stato di servizio: dal 1935 al 1936, nel deserto dell’Etiopia; nel 1943 la campagna di Libia, poi richiamato a Bolzano, fino a quando venne fatto prigioniero dei tedeschi e tradotto in un campo di concentramento a Linz, dove rimase per due anni e mezzo. Raccontava: “Povero ero partito e sono tornato altrettanto povero, sconfitto e smagrito.

    Che brutta bestia è la guerra. Nel 1935 a noi giovani ci riempivano la testa dicendoci che avremmo visto cose grandi e fondato un impero. Che avremmo portato lo sviluppo alle popolazioni indigene del Negus. Invece, oltre ad essere stati ingannati, abbiamo massacrato un popolo. La mia fortuna è stata quella di rimanere nelle retrovie con l’incarico di marconista, addetto alle trasmissioni. Non ho mai sparato un colpo o ucciso alcuno, perché ero impegnato a trasmettere agli alti comandi le informazioni dai campi di battaglia”. Ma non finisce qui, uno strano destino lega gli alpini all’Africa.

    Recentemente sono stati inviati nella repubblica Centrafricana. Genieri alpini del 2° reggimento, inquadrati in Eufor Rca, la missione di stabilizzazione europea, che hanno portato a termine un numero notevole di progetti, spaziando dalla fortificazione della base di Eufor alla bonifica di canali d’acqua, passando per la realizzazione di infrastrutture di base. Il legame tra alpini e Africa quindi continua. Un rapporto strano agli occhi di molti, ma che affonda le radici nella storia.

    Luigi Furia