Bortolo Bellini, classe 1921, di Fino del Monte aveva quattro anni quando partì con i genitori e il fratello Donato per la Francia. La crisi del primo dopoguerra costringeva molte famiglie delle montagne bergamasche a cercare lavoro all’estero. Quattro anni dopo morivano entrambi i genitori e i due fratelli furono rimpatriati e accolti alla Casa dell’Orfano di Ponte Selva. La struttura era stata aperta nel 1925 da don Giovanni Antonietti, cappellano militare degli alpini, che aveva vissuto in prima persona le vicende della Prima guerra mondiale e il dramma dei bambini rimasti orfani per cause belliche e di lavoro. Così, dopo le elementari, Bortolo frequentò le medie e le magistrali e intanto giunse l’età del servizio militare. Nel 1941 la legge sul reclutamento concedeva agli studenti, universitari o all’ultimo anno delle scuole superiori, di “ritardare la presentazione alle armi”, ma una circolare revocò tale rinvio e rese possibile l’arruolamento degli studenti con rinuncia al corso allievi ufficiali, allora obbligatorio per chi ne avesse titolo.
Così Bortolo, si arruolò sia pure con qualche dubbio. In data 16 febbraio 1941 scrisse da Aosta a don Antonietti: “Siamo giovani; in un momento di entusiasmo compiamo delle cose che possono avere delle dolorose e gravi conseguenze. Ma bisogna picchiare la testa nella roccia per convincerci che è più forte della testa. Io vengo a Voi, come il figliol prodigo. Anche lui aveva peccato e dal padre suo fu perdonato; io ho peccato, se pur peccato si può dire quello di lasciare gli studi per andare a servire la Patria che ha tanto bisogno”. Poco dopo un’altra circolare annullò la precedente, e tutti gli studenti del 1921 furono chiamati alle armi. Bortolo, avendo anticipato i suoi coscritti, era già sergente dal giugno 1941. Egli sentiva incombente la partenza per il fronte. Così scrisse, sempre a don Antonietti, il 28 marzo 1941 da Aosta: “Potete immaginare quanto pagherei, sebbene non ne abbia nessuno, per rivedere ancora una volta anche per sole poche ore, la Casa, rivedere quella bella chiesetta dove feci nove Pasque. Chissà che non venga a fare la decima”. Il 9 novembre 1941 il sergente si trovava nei Balcani, presidio di Pecine (ora Croazia), “territorio dichiarato in stato di guerra”, da dove informò don Antonietti: “Mio fratello mi ha scritto (…) che era partito dalla Grecia. Che sia arrivato anche per lui il momento dell’azione? Anche lui farà il suo dovere e se anche non ha la divisa di alpino, la farà da alpino perché da un alpino in gamba è stato educato”.
Si riferiva al fatto che don Antonietti, loro “pater familias”, aveva svolto il servizio militare negli alpini. A febbraio 1942 Bortolo venne ammesso a frequentare il corso ufficiali di complemento presso la scuola di Bassano del Grappa e quindi nominato sottotenente di complemento il 15 agosto dello stesso anno. L’anno prima la Germania nazista, nel giugno 1941, aveva dato corso all’operazione Barbarossa con l’invasione dell’Unione Sovietica a cui aveva aderito anche Mussolini, inviando l’Armata Italiana in Russia (Armir) con tre divisioni reduci dalla Grecia: la Tridentina, la Julia e la Cuneense. I rapidi capovolgimenti al fronte cambiarono il corso della battaglia; dopo l’accerchiamento delle forze tedesche a Stalingrado, la successiva offensiva sovietica, iniziata il 16 dicembre 1942, travolse il Corpo d’armata italiano, anticipando l’odissea che coinvolgerà i reparti alpini nel mese seguente. Per tamponare le perdite, continuò l’invio di truppe italiane sul fronte russo, tra queste vi fu anche il nostro Bortolo Bellini, entrato a far parte del battaglione Complementi “Val Cismon”.
Nell’estate 1942 ad Udine, alle dipendenze della 3ª Brigata alpina di marcia, c’erano i battaglioni Complementi VIII e IX, destinati a fornire uomini ai reggimenti 8º e 9º della Julia. L’VIII battaglione partì da Gorizia nel gennaio 1943. Il 4 gennaio 1943 Bortolo scrisse a don Antonietti: “Si parte … Sento la responsabilità che mi pesa sulle spalle nel comando dei miei uomini, ma farò del mio meglio. State certissimo. La destinazione è ignota; quale parte del mondo ci accoglierà e farà parlare di noi alpini? Sono pronto materialmente e molto di più spiritualmente”. Probabilmente sapeva la destinazione, ma l’ordine era di non rivelarla. Giunto al fronte si rese conto che la situazione era disperata, il 10 gennaio 1943 scrisse poche parole da Kharkov: “… Penso alla Casa ed alla cara Italia …”. Dopo tutto tacque. L’ultimo pensiero fu per la Casa dell’Orfano e alla sua amata Patria. Sembra assurdo, ma i battaglioni di complemento arrivarono quando era già iniziata la ritirata. Il sottotenente Bellini fu aggregato al “Val Cismon”. Il 19 e 20 gennaio 1943 ci fu il più rilevante scontro armato, per reparti impegnati e per il numero di Caduti, fra le divisioni italiane alpine in ritirata e l’Armata Rossa.
La battaglia iniziò verso mezzogiorno del 19 gennaio, quando la colonna dell’8º reggimento alpini della Divisione Julia si trovò la marcia sbarrata da truppe russe, asserragliate a Nowo Postojalowka. Nella notte arrivarono altri battaglioni della Julia e della Cuneense. Gli attacchi continuarono per tutta la giornata, ma gli alpini furono sempre respinti dai cannoni e dalle mitragliatrici russe posizionate fra le case e dalle incursioni dei carri armati sovietici. Durante i combattimenti caddero decine di ufficiali e migliaia di alpini. Il generale Emilio Battisti, poi, scriverà: “Il giorno 20 gennaio, per rompere lo sbarramento nemico … furono impiegati … quattro battaglioni alpini che andarono quasi completamente distrutti”. Il generale Emilio Faldella, nella sua “Storia delle truppe alpine”, così definisce la battaglia di Nowo Postojalowka: “… quella sanguinosa, disperata battaglia che durò, pressoché ininterrotta, per più di trenta ore ed in cui rifulse il sovrumano e sfortunato valore dei battaglioni e dei gruppi della Julia e della Cuneense, che ne uscirono poco meno che distrutti”.
Tale battaglia è stata la più rilevante per le forze militari impegnate sul campo e per il numero di caduti e dispersi; il più importante combattimento dove a scontrarsi con il nemico furono esclusivamente truppe italiane. Parte del Val Cismon ed altri reparti alpini s’immolarono eroicamente, altri furono fatti prigionieri, tra cui padre Giovanni Brevi, il 21 gennaio nei pressi di Valuiki. Tra questi c’era anche Bortolo Bellini, ma non si conoscono con certezza i particolari poiché il foglio matricolare riporta parecchie correzioni e aggiunte. Ad esempio l’annotazione: “Disperso nel fatto d’armi di Nowo Postolajeska (Postojalowka), lì 19 gennaio 1943” è stata cancellata. Di seguito è stata aggiunta un’altra riga: “Prigioniero di guerra nel fatto d’armi di Valuiki, lì 30 gennaio 1943”, ma questo era avvenuto qualche giorno prima. D’altra parte la ritirata è stata un naufragio in un immenso oceano di ghiaccio, dove i reparti si sono scomposti e ricomposti in disperate battaglie.
Sta di fatto che il 28 gennaio 1943, ore 5,30, il generale Emilio Battisti con i pochi superstiti della Divisione alpina Cuneense, si arrese all’esercito sovietico, insieme alle Divisioni Julia e Vicenza che conclusero tragicamente il ripiegamento, permettendo ad altri reparti di raggiungere Nikolajewka per l’ultima battaglia. Gran parte dei prigionieri furono internati nel campo 2.074 di Pinjug, regione di Kirov a 800 chilometri a nord est di Mosca. In questo campo morì, non si sa se per gli stenti o le ferite, il sottotenente Bellini il 17 aprile 1943. I quasi mille soldati italiani deceduti nel campo furono sepolti in fosse comuni. Là giacciono anche i resti di Bortolo, eroico alpino, che oltre ogni ragione è stato fedele alla sua patria, anche se, nel suo caso, gli era stata matrigna.