Scritti… con la divisa

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    In questo numero siamo con l’artigliere alpino Pietro Pinchiorri (classe 1940) di Pavullo nel Frignano, provincia di Modena. Pavullo è un grosso paese posto su un altopiano circondato da rilievi di diversa altezza che fanno da spartiacque tra le valli dei fiumi Panaro e Secchia. Pietro, secondogenito di cinque fratelli, finita la terza di avviamento agrario, a quindici anni comincia a lavorare presso una ditta, distante dieci chilometri. Mezzo di trasporto è una bicicletta da donna, finché suo papà gli compra una lambretta, di seconda mano. Poi incomincia il lavoro di piazzista per una nota ditta dolciaria, finché giunge la cartolina militare. Deve presentarsi il 3 marzo 1969 al Bar Cadore (Battaglione Addestramento Reclute) a Montorio Veronese.

    Qui è subito “arruolato” come aiutante per la “vestizione delle reclute”. In magazzino le giornate passano veloci, impara subito il mestiere e pure a cavarsela quando qualche artigliere alpino si lamenta perché la divisa non veste a pennello: «Puoi andare da Cristian Dior a Parigi per le modifiche». Poi parte per Belluno, destinato alla 16ª batteria del Gruppo Lanzo, addetto alle trasmissioni radio. Arrivati in caserma verso sera, schierati sul piazzale, le reclute ricevono il benvenuto: “I conducenti anziani avevano liberati tre muli con le catene e li facevano correre, così si sentivano sui ciottoli gli zoccoli ferrati e le catene e a me sembrava di essere arrivato non in caserma ma in un carcere”. Dopo alcuni giorni iniziano le marce, la prima Belluno-Nevegal con una radio “R.300” in spalla. Ai primi di giugno inizia il campo estivo. Su un minuscolo notes Pietro annota i fatti principali della nuova esperienza: “Il 4 giugno si parte per le escursioni estive 1960. Itinerario: Belluno. Feltre, Strigno, Bieno.

    Ci si accampa a Pradellano, piccola frazione di Pieve Tesino”. Qui, fino al 15 giugno, si svolge il “campo fisso” per poi raggiungere Malga Venegia, tra il Passo Rolle e il Passo Valles, nel cuore delle Dolomiti e del Primiero. Appena giunti “sebbene sia domenica c’è molto da lavorare, fare la massicciata e impiantare i filari per i quadrupedi. La batteria ogni due giorni esce per andare a sparare”. Allora, a questo punto, per le penne nere ha inizio una vita allo stato brado: alloggio in tenda, in un bosco vicino ad un torrente utile, spesso e volentieri, come vasca da bagno e pure come lavanderia. Ma anche lì non mancano le punizioni, come capita al nostro Pietro con tre giorni di consegna, la prima punizione dopo 16 mesi di naja: “Si recava in ore di servizio presso la malga adiacente all’accampamento per acquistare del latte senza chiedere la dovuta autorizzazione”.

    Durante il campo arrivano anche alcuni sottotenenti di prima nomina e prevale la legge dell’anzianità, allora sacra tra gli alpini, “il vecio dorme in brandina ed il tubo (nel caso l’ufficiale) dorme per terra”. All’ultimo giorno di “campo fermo alla sera arrivano 24 tubi (reclute) in aggregazione al Reparto Comando Lanzo. È stata una bella serata perché sono stati messi sull’attenti con il dest riga e passati in rassegna”. Questa è una regola non scritta tra le penne nere: l’anzianità fa grado. Il 29 giugno inizia il campo mobile: partenza di buon mattino e arrivo a sera, ogni giorno. Per il nostro Pietro il primo trasferimento va da Malga Venegia, Pian dei Casoni, Passo Valles con arrivo a Falcade, sotto una pioggia torrenziale. Un su e giù per monti e passi che dura fino al 15 luglio, quando, rientrato in caserma, è comandato in fureria dove rimane fino al congedo.

    In quel periodo, precisamente il 1º marzo 1962, giunge a Montorio Veronese anche Mario Gherardo, alpino, arruolato nel battaglione Pieve di Cadore. Nato a Este (Padova) il 28 settembre 1940 da Antonia e Giuseppe, è il secondo di tre figli. Alla sua nascita, il padre lavora come mezzadro; aveva vissuto l’epopea della ritirata dalla Russia che lo aveva minato nel fisico e nell’animo e con la famiglia non ne parlò mai. Nel 1950 la famiglia si trasferisce a Noventa Vicentina (Vicenza), dopo aver coltivato terreni a mezzadria, li acquista e dà vita ad una propria azienda agricola. Nel marzo del 1962, Mario parte per il servizio militare, battaglione Pieve di Cadore. L’esperienza del servizio militare è stata per lui significativa, sotto molti punti di vista, tant’è che oggi partecipa attivamente alla vita del Gruppo e ricorda: «Arruolato il 1º marzo 1962 Car a Montorio Veronese e successivamente al btg. alpini Pieve di Cadore.

    Ero conduttore automezzi e durante il corso ci comunicano che il nostro reparto parteciperà alla sfilata del 2 giugno 1962 a Roma per la Festa della Repubblica. Il corso viene sospeso per le prove della sfilata. La prova generale a Roma ha luogo dalla mezzanotte alle 4 del mattino. Il ricordo più vivido che mi è rimasto, a distanza di più di 50 anni, è l’emozione di sfilare davanti alla tribuna d’onore, alla presenza delle autorità e la consapevolezza di aver avuto la bella opportunità di partecipare a un evento di grande importanza». Durante la permanenza a Roma scrive alla famiglia: “Roma, 28/5/62 (…) il viaggio è durato 12 ore, siamo partiti ieri sera da Belluno alle dieci esatte e siamo arrivati questa mattina a Roma (Ostiense) alle 10 esatte. Domani mattina cominceremo le prove per la famosa sfilata (…) la trasmetteranno per televisione e credo che non vi sarà difficile vedere la nostra compagnia, perché saremo tutti vestiti di bianco, guardando dal davanti io sono il quarto della quinta fila”. Nei momenti liberi il nostro alpino si dà da fare per visitare la capitale e i maggiori capolavori della città eterna. Dopo aver passato otto giorni nella capitale, il 4 giugno torna a Belluno e scrive: “Ho voluto prendermi il lusso di girare un po’ Roma, infatti ho potuto visitare i luoghi più suggestivi. Pensate che sono andato fin sulla cupola di San Pietro, proprio nel punto più alto dal quale si domina tutta Mario Gherardo durante la naja. In sfilata a Roma nel 1962. la città (…) per quanto riguarda la sfilata tutto è andato per il meglio e ci siamo presi una buona parte di applausi”.

    Quando poi il Presidente della Repubblica li ha passati in rassegna “quel momento è stato bellissimo”. Dopo aver descritto la cerimonia, il pensiero del nostro alpino torna idealmente a casa: “Per quanto riguarda l’andamento della campagna e della stalla, con piacere ho sentito dalla vostra lettera che tutto va bene, che anche l’affare di Beppe è stato concluso e che avete combinato delle due mucche (…) che le barbabietole promettono bene”. Ci sono poi i saluti per tutti: “Papà, mamma, fratello Luciano, Gabriella, zio Guerino, zia Norma, zio Vittorio e famiglia, i cugini Remo Franco Lino e Angelina”. Una famiglia allargata quella di Luigino, come lo erano tante famiglie contadine fino a non molto tempo fa, dove si coltivavano, oltre che campi e prati, principi e valori dell’essere figli della stessa terra, la terra dei Padri.

    Luigi Furia