ROMA – Perché gli alpini lo fanno?

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    A Leonessa gli alpini hanno dato ascolto al loro parroco ricostruendo un rudere di una chiesa distrutta che fino a sessant’anni fa accoglieva pellegrini e passanti per un riposo e una preghiera. Un impegno che è spunto di riflessione… Spesso i viandanti si fermano dove gli alpini stanno lavorando: chiedono, si incuriosiscono, si meravigliano nel sentire come e perché gli alpini sono lì. In molti domandano: «Ma chi vi paga?». Vallo un po’ a spiegare che questa parola per noi non esiste e che la traduciamo in: “Ma cosa ci ripaga?”. Ci ripaga il sorriso degli altri amici alpini pieni di sudore, vedere che l’opera che sta realizzando cresce e resterà per sempre e per tutti, ripagano i sorrisi delle mamme e dei bambini che ho avuto la fortuna di incontrare e aiutare, anche solo con una carezza.

    Le prime volte che facevo il volontario partivo da casa, salutavo i miei cari credendo di andare a fare del bene, invece, ogni volta di più, ero e sono io che ricevo del bene dagli altri. Penso che tutti gli alpini che regalano le loro energie, anche per quelle attività più piccole e umili, ricevano un regalo enorme: la soddisfazione di tendere la mano e strappare un sorriso a chi ha bisogno. I ricordi e le immagini che ci portiamo dentro fin dagli anni della gioventù, l’avere dentro i profumi delicati e i colori mutevoli delle montagne, e soprattutto l’essere orgogliosamente alpini, sono i motivi che ti fanno dire “sì” alle tante iniziative messe in moto dalle penne nere.

    Quando il Capogruppo propone al Direttivo un’attività seppur piccola per il territorio, l’accoglienza è carica di entusiasmo anche se appaiono a volte quasi impossibili. Quanti sabati e domeniche donate a chi ha bisogno, vissute in gruppo con spirito alpino, giornate sottratte alla famiglia e donate ad un’altra famiglia, quella alpina e alla comunità.

    Nardino Cesaretti