Ritratti dagli Stati Uniti e dal Canada

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    New York Ernesto Gazzola

    In un elegante quartiere della periferia newyorkese, nelle vicinanze del Bronx, vive un combattente, Ernesto Gazzola, piacentino, classe 1918, lucido nonostante l’età e qualche acciacco, testimone e protagonista dell’attacco alla Francia dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. All’epoca si trovava a Bardonecchia con il 3º Alpini e al primo assalto, ricorda con commozione, riuscirono a portarsi in una zona dove le mitragliatrici francesi non potevano colpirli. Meno fortunata la compagnia che seguiva, investita da un fuoco incrociato senza possibilità di riparo. Lì si cominciarono a contare i primi Caduti. Nel gennaio del ’41, destinato in Montenegro, più che gli attacchi dei partigiani ricorda il freddo e la fame patiti. Rientrato in patria doveva reimbarcarsi per la Grecia, ad Ancona, quando l’armistizio dell’8 settembre dissolse il nostro esercito e il suo colonnello, Farinacci, diede ai soldati il si salvi chi può . Fatto prigioniero dai tedeschi e spedito in Prussia, fu liberato dai russi e rimpatriato nel novembre del ’45. I suoi occhi ancora vivi brillano al ricordo di quegli anni drammatici e indimenticabili.

    Montréal Bonfiglio Olmi

    Seduto in un tavolo un po’ in disparte nella grande sala del ristorante Buffet le Ritz di Montréal c’è un anziano alpino che guarda l’animazione dei presenti intenti a scambiarsi saluti, abbracci e alzate di bicchieri. È Bonfiglio Olmi, classe 1914, emiliano, residente in Canada da più di mezzo secolo. Porta con sé il foglio matricolare che inizia: Chiamato alle armi il 1º aprile 1935, mobilitato nell’11º Reggimento Alpini, partito per la colonia Eritrea col Btg. Trento, Livorno il 5 gennaio ’36 e sbarcato a Massaua il 15 . Il lungo documento annota con burocratica precisione anno per anno i richiami al btg. Verona, al 6º Rgt., la cattura da parte dei tedeschi il 9 settembre ’43, il rientro in patria il 6 ottobre ’45 e il suo collocamento in congedo illimitato nel dicembre ’45 . Quasi 11 anni in grigioverde e una guerra che lo ha visto percorrere a piedi il tragitto da Massaua ad Addis Abeba, poi l’Albania e la Russia, con un lungo elenco di amici morti. Decorato della medaglia commemorativa delle operazioni militari in A.O. e della Croce di Guerra non parla molto di quegli anni di gioventù negata, ma sembra conservarli gelosamente nel suo consunto cappello alpino tenuto in testa per tutta la serata. Il ricordo più caro dell’Italia.

    Toronto Renato Rossetti

    La storia di Renato Rossetti di Fontanafredda, Udine, classe 1922, sarebbe di ordinaria normalità se gli orecchioni non lo avessero inchiodato in infermeria, poco prima che i suoi compagni salissero su quei lunghi treni cantando: ci tocca di ripartire con la tristezza in cuor in Russia destinati . Anche lui aveva la sua tristezza da metabolizzare, assieme ad altri due compagni di infermeria, anzi un grosso peso da quando il medico militare, senza tanti preamboli li apostrofò: Siete fortunati a non partire, ma ricordatevi che non potrete avere figli . Lui aveva da poco cominciato a parlarsi con una bella moretta del suo paese e l’idea di poter continuare solo a parlarle non gli andava per niente a genio. Invidiava i suoi compagni, anche se li aveva visti tornare dall’Albania, dopo l’affondamento del Galilea, che facevano pietà, avviati ad affrontare un’avventura pericolosa, ma da uomini. Durante la convalescenza ebbe una licenza e lì, con sorpresa anche della fidanzata, sentì che le cose andavano diversamente da come aveva sentenziato il medico: essiccamento dei testicoli. Delle conseguenze è giusto non parlare perché la coppia, felicemente sposata per 70 anni, ebbe due figli e lui più che con le parole ama esprimersi con un accattivante sorriso. Inquadrato nel battaglione Valle andò a presidiare l’Alta Savoia e l’8 settembre 43 lo colse a Tricesimo, in provincia di Udine. Non si sapeva niente di quello che stava succedendo e ufficiali e sottufficiali sparirono senza dare ordini. Buttate le armi, ritornò a casa con i vestiti da borghese forniti dai contadini, camminando di notte per evitare i tedeschi. Invitato ad entrare nella formazione partigiana Osoppo, preferì restare alla macchia e temporaneamente lavorare con la Todt a scavare trincee e bunker. Ricorda i violenti bombardamenti americani alla base di Aviano e l’esplosione di allegria alla fine della guerra. Dei suoi compagni partiti per la Russia ne sono tornati due: Antonio Palma e Angelo Rossetti. In Canada da oltre cinquant’anni, ora vive in una elegante casa di riposo a Toronto. Nella sua camera c’è un cappello alpino e le foto di quattro splendidi bambini. I suoi nipoti. Nell’abbracciare il presidente Perona è felice; per lui, uomo semplice cui la vita non ha negato né avventure, né soddisfazioni, quegli anni di guerra restano a fargli compagnia, assieme a tanti volti di coetanei che nessuno ormai ricorda più.

    Sudbury Luigi Buttazzoni

    Luigi Buttazzoni, gruppo autonomo di Sudbury, classe 1923, nato a Sacile, Pordenone, assegnato al battaglione Gemona, ultimo scaglione pronto per partire per la Russia, viene dirottato all’ultimo momento per la Slovenia, al tempo territorio italiano. Si tratta di un’attività di presidio relativamente tranquilla, ma improvviso arriva l’uragano dell’8 settembre. Il comandante di compagnia, cap. Rossi, saluta i suoi soldati e consiglia di tornarsene a casa. Luigi ricorda con affetto i suoi comandanti e manifesta ancor oggi la sua riconoscenza. Rientra a casa in divisa, zaino affardellato e armato di tutto punto, non incontrando nessun ostacolo in tutto il lungo percorso. Non consegna nulla a nessuno della sua dotazione militare, si mette in borghese e riprende la vita da civile, finché non entra nelle formazioni partigiane Garibaldi, dove diventa caposquadra, con 12 uomini ai suoi ordini. Fa servizio di pattugliamento e recupero del materiale lanciato con i paracadute. Non ha mai partecipato a scontri armati. Prelevato dai tedeschi, fa un mese di carcere, poi viene rilasciato. Di quel periodo ricorda i numerosi bombardamenti subiti da parte degli inglesi, informati dei loro spostamenti, a suo parere, da infiltrati. Sposatosi a guerra finita, è in Canada dal 1951 e attualmente ricopre la carica di capogruppo con la verve di un ventenne. (v.b.)

    Pubblicato sul numero di dicembre 2009 de L’Alpino.