“Alpini sempre”

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    La premiazione della 12ª edizione del premio letterario nazionale di narrativa e ricerca scolastica sugli Alpini, organizzato dalla sezione di Acqui Terme, ha confermato l’interesse per un evento unico nel suo genere. Anche questa volta “Alpini sempre” tra narrazioni, ricordi, aneddoti ha appassionato il pubblico riunito al circolo culturale “La Società” di Ponzone (Alessandria). Ha introdotto la premiazione il sindaco Fabrizio Ivaldi: «Anche in un periodo di crisi, con sempre minori risorse a disposizione, Ponzone non rinuncia ad “Alpini sempre”, un premio che ha fatto conoscere il nostro Comune in tutta Italia ».

    C’erano autorità civili e militari, il presidente della sezione di Acqui Terme Giancarlo Bosetti e Adriano Blengio, presidente della sezione di Asti con un folto pubblico di Alpini e di appassionati di storie sulle penne nere. Tra gli ospiti il gen. Alpino in congedo Ernesto Piccinelli e il col. dei carabinieri Paolo Piccinelli, fratello e figlio di Franco Piccinelli, presidente della giuria delle precedenti edizioni, scomparso quest’anno. Hanno condotto la premiazione i prof. Andrea Mignone e Carlo Prosperi, Giancarlo Bosetti, che insieme al gruppo “Giuseppe Garbero” gestisce il premio, e il segretario Sergio Zendale. La cerimonia ufficiale si è conclusa con l’Inno d’Italia seguito dal rancio alpino curato dalla sezione di Acqui Terme dove, tra un piatto e l’altro, si è continuato a parlare di Alpini in tempo di pace e di guerra. Di seguito i premiati con le relative motivazioni.

    Categoria narrativa 1º classificato ex aequo: “In prima linea a Nowo Postojalowka” di Giorgio Ferraris (sindaco di Ormea, Cuneo). «L’autore, attingendo copiosamente alle memorie e ai racconti del compianto Giacomo Alberti, che da Alpino della Cuneense aveva partecipato in prima persona alla Campagna di Russia e, in particolare, alla battaglia di Nowo Postojalowka e successivamente a quella, ben altrimenti famosa, di Nikolajewka, ma inquadrandoli in una ricerca storica di più ampio respiro, ricostruisce con fresca vena narrativa, in un dialogo talora serrato con altri autori e testimonianze, le drammatiche vicende della ritirata di Russia e dedica quindi spazio anche alla commemorazione dei Caduti e dei dispersi, ai quali il libro, corredato peraltro d’immagini inedite, è affettuosamente dedicato». 1º classificato ex aequo: “49 Sfumature in grigio-verde” di Villi Lenzini. «L’autore, generale degli Alpini in ausiliaria con alle spalle una intensa attività operativa (comprese numerose missioni all’estero), apre una serie di finestre sul mondo delle caserme e della vita militare, cercando di mettere in fila – secondo alcuni schemi interpretativi – una pluralità variegata di accadimenti quotidiani. I quarantanove racconti gettano luce sulle situazioni più disparate, allegre e meno allegre, scontate o imprevedibili, maligne e fortunate, lasche o stringenti. Il filo rosso che lega le tante piccole storie, che assieme fanno una storia del costume dell’epoca, è il desiderio di sdrammatizzare le situazioni (umanizzandole) e il bisogno di sottolineare la “forza dei legami deboli” (il tessuto delle amicizie nate negli stanzoni delle caserme e anche nel terreno operativo teatro di azioni di pace). Ne risulta un testo di gradevole lettura: si possono condividere o meno certi comportamenti e certi episodi, ma l’umanità che il libro fa emergere rappresenta il valore aggiunto del racconto».

    Categoria storico-saggistica 1º classificato: “Il nemico fidato” di Giorgio Scotoni. «Questa meticolosa e meritoria ricerca, sia pure limitata alla regione di Voronezh, si avvale della recente desecretazione di una ricca messe di documenti conservati negli archivi centrali e periferici dell’ex Unione Sovietica e dei numerosi studi, non solo russi che, dalla perestrojka in poi, con una nuova varietà di approcci metodologici hanno affrontato l’analisi sia del “nuovo ordine” hitleriano sia di temi a questo connessi quali i crimini nazifascisti, la lotta resistenziale, lo sfruttamento economico, i campi di concentramento, il trattamento dei prigionieri e, non ultimo, la scabrosa questione del collaborazionismo. L’analisi si è diramata in tre direzioni diverse, in tre filoni – razziale, ideologico, geopolitico – che non mancano occasionalmente di incontrarsi e di integrarsi, ora interpretando l’operazione Barbarossa come l’espressione militare di uno “scontro di civiltà”, ora fornendo una lettura pluralistica della resistenza, ora inquadrando gli eventi bellici in un’ottica di “lungo periodo” e di corsi e ricorsi storici. In particolare lo studio di Scotoni, nell’indagare la condotta della Wermacht e quella, affatto subordinata, del Regio Esercito, ha modo di ribadire, alla luce dei documenti di fonte russa, l’incomparabile differenza tra l’efferato comportamento dell’alleato tedesco, ideologizzato ai limiti del fanatismo, e quello dei militari italiani, poco o nulla motivati, spesso costretti ad arrangiarsi ma, proprio per questo, alieni da ogni logica imperialistica e, ancor più, da ogni delirio o (s)proposito di purezza razziale. Per una volta, dunque, lo stereotipo degli “Italiani brava gente” si dimostra non troppo lontano dalla verità».