Ricordo di Guido

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    Se n’è andato l’11 giugno, Guido Vettorazzo. Nato il 12 marzo 1921 a Rosà (Vicenza), era uno degli ultimi scampati al massacro della Julia in terra russa in quell’inverno del 1942/1943, testimone importante, infaticabile e inesausto di quella tragedia, fino a quel suo ultimo andare, o tornare lì da dove forse non era mai tornato.

    Rimasto per sempre con i suoi del Tolmezzo in quelle isbe, dentro quei calanchi, fra quei girasoli, su quelle terre gelide e gelate, dove a Natale “i russi vengono avanti come pecore e noi macelliamo” (lettera ai familiari, 25.12.1942) e il mese dopo gli italiani sono in fuga come “bestie braccate e disperate” (memoriale, 26.01.1943).

    Una delle canzoni più belle di Vladimir (Volodja) Vysotsky, poeta e cantante russo fra i più grandi del Novecento, dissidente e perseguitato, è Dal fronte non è più tornato, dice: “L’acqua, il cielo, e il bosco/hanno i loro colori, sì però qualche cosa è cambiato/anche l’aria è la stessa/è soltanto che ieri/lui dal fronte non è più tornato./…/Non si tratta del vuoto/che adesso io sento, / si era in due, solo ora ho capito/che è come un falò/appena spento dal vento/ dal momento in cui non è tornato./…/ Non saremo da soli/in tutto questo sfacelo/sentinella sarà chi è caduto,/e si specchia nel bosco/e nei rigagnoli il cielo/e ogni albero svetta azzurrato./E ce n’era di posto/in questa nostra trincea/si spartiva ogni giorno e minuto./ Ora ho tutto per me/ma mi rimane l’idea/ che son io che non sono tornato./ Ora ho tutto per me/resta solo l’idea/ che forse son io a non esser tornato.”

    Sembra scritta per Guido, il tenentino della 114ª compagnia armi d’accompagnamento. La Russia, era solito dire, “ci ha segnati a vita”. E, infatti, tutta la sua vita, d’allora in poi, fu spesa a raccontare, testimoniare “quel che abbiamo passato, patito e provato”, raccogliere vite di dispersi e corpi rimasti là, di sciogliere l’angoscia e il dolore accumulati nel corso di quella guerra, fatta da “invasori inconsapevoli, perché indottrinati”.

    Guido non smise mai di occuparsi di Russia e di “non tornati”: rimase sempre legato agli alpini e all’Ana, fu per molti anni direttore del Doss Trento (il periodico della Sezione trentina), frequentò a lungo il Laboratorio di storia di Rovereto, calcò più volte, ma “da pellegrino”, le terre di Nikolajevka- Livenka fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso (pubblicandone i resoconti su L’Alpino), diede alle stampe le sue “Cento lettere dalla Russia” e il suo “Memoriale” (1993), girò per centinaia di scuole e altri luoghi d’ascolto a mostrare e dimostrare la “follia della guerra”, fu invaso fino all’ultimo da “pensieri allucinati”, come allora (memoriale, 21.01.1943).

    Nella testa e nel cuore sempre Lei, quella terra che l’aveva avvinto e strappato al suo sogno di essere aviatore (quante volte si legge nelle lettere il rammarico, la rabbia persino, di non potersi librare in volo, così come aveva immaginato di fare quando da piccolo fu aeromodellista). Oggi le ceneri di Guido sono a fianco di quelle di Ilia, la sua compagna di sempre, nel cimitero di Rovereto, la sua città adottiva, dove fu, via via, appassionato e apprezzato insegnante d’arte, amministratore, maestro di volo a vela, ma io oso pensare che l’Alpino sia finalmente tornato in pace fra i girasoli, e gli arrivi da qualche isba lì attorno il canto di Volodja.

    Diego Leoni